Perché Napoli è la città più speciale del mondo?
Napoli è una magia infinita, sospesa tra l’azzurro del cielo e quello del mare. Poteva essere diversamente una città fondata dalla sirena Partenope?
Napoli non è solo una città, è un pianeta a sé stante, dove la lingua è musica, l’allegria è un marchio di fabbrica e la napoletanità è una fede.
Napoli in un giorno, in un weekend o tutta la vita? Un giorno ti basta a capire che devi tornare, un weekend a sentirne una profonda mancanza, tutta la vita per sapere che non smetterà mai di stupirti.
La città è così incredibile che puoi far un tour di tutto: delle vie, delle piazze, dei monumenti principali, dei chiostri, delle chiese, dei fantasmi, del caffè, della pizza, dello street food, dei presepi, tour esoterici, sotterranei, sotto il Vesuvio e se c’è qualcosa di fantasioso, curioso ed affascinante, solo qui lo troverai.
Napoli è un luogo inimitabile in cui la realtà diviene leggenda e la leggenda ha il sapore di una verità inconfutabile.
Potresti vivere in una casa in cui ci sono due presenze “inquietanti”?
A Napoli tutto è possibile ed ogni casa ha la sua anima: c’è la “bella ‘mbriana”, che non è solo il titolo di un celebre brano del grandissimo Pino Daniele, ma è lo spirito benevolo della casa, concepito come una bella donna, da rispettare e da salutare ed allora tornando a casa, non ci resta che dire “buonasera bella ‘mbriana”. Mai farla arrabbiare e mai tenere la casa in disordine.
Il suo antagonista è “o munaciello”, ovvero il piccolo monaco, altra figura leggendaria del folclore partenopeo. Può essere uno spirito benevolo o dispettoso, di sicuro bruttino e bassino, anche lui vive nella casa. Eduardo De Filippo lo fa “protagonista” di una delle sue commedie più belle Questi Fantasmi.
Il napoletano è una persona speciale, parlerebbe anche con i muri e sono sicura che i muri gli risponderebbero.
A Napoli la solitudine è al massimo il titolo della notissima canzone di Laura Pausini, non ti senti mai solo. Mi è capitato di andare in una trattoria dove il proprietario mi si è seduto accanto a raccontarmi vita, morte e miracoli suoi; il cameriere, invece, al mio rifiuto del dolce perché troppo piena, mi ha portato un assaggio di tutto come omaggio, perché non potevo andarmene senza le loro graffe con la nutella appena fritte, la pastiera della madre del proprietario fatta la notte, il babà della moglie. Non solo ho mangiato tutto, ma mi sono sentita a casa!
Napoli la devi vivere con il cuore per scoprire che l’amore per la vita può stare ovunque, in una goccia di mare o in un babà, e che a Napoli anche chi non ha niente, ha tutto. Ed ancora la devi vivere per comprendere che ogni sua crepa non è solo incuria, è una storia da narrare ed in ogni vico c’è un mondo da scoprire.
Cominciamo simbolicamente il nostro tour di Napoli da dove tutto è iniziato, Megaride, ovvero Castel dell’Ovo.
CASTEL DELL’OVO
Siamo sull’isolotto di Megaride ed immaginiamo quando non c’era il castello e c’era solo questo scoglio di materiale tufaceo, derivante dall’ultima eruzione vulcanica dei Campi Flegrei.
Facciamo un salto nel tempo ad oltre 3000 anni fa, quando intorno all’VIII secolo a.C. giunsero nella penisola italica i Greci, che diedero vita ad Ischia alla prima colonia, a cui diedero il nome di Pithaecusae, l’isola delle scimmie.
Poi da Ischia si spostarono sulla terraferma e fondarono Cuma, nota per la famosa Sibilla, l’oracolo a cui tutti si rivolgevano per consigli prima di fare qualsiasi cosa.
Da Cuma i Greci migrarono verso Napoli, chiamata Neapolis, ovvero la città nuova, ma il primo vero insediamento si chiamò Partenope, come la prima sirena della storia.
Partenope è la sirena omerica, che viveva con le due sorelle sugli scogli di fronte Sorrento, il cui nome deriva da Sirrentum, la città delle sirene.
Le sirene hanno ben poco di romantico, ammaliavano con i loro canti i marinai che avevano la sfortuna di passar loro davanti e che perdevano a causa loro la testa, tanto che le navi si infrangevano sugli scogli e le sirene finivano per mangiare i poveri malcapitati.
Partenope, però, si innamorò di Ulisse, il quale, tuttavia, era stato avvisato del pericolo delle sirene, così si fece attaccare all’albero per ascoltare, ma non essere catturato.
La bella sirena, per il dolore di essere stata abbandonata, decise di togliersi la vita gettandosi in mare ed il suo corpo esanime giunse sull’isolotto di Megaride, ovvero Castel dell’Ovo.
Quando i greci di Cuma giunsero a Megaride, trovarono la tomba di Partenope e le dedicarono la città.
Sfatiamo un mito non vero: la sirena non era metà donna e metà pesce, ma metà donna e metà uccello.
È un errore dovuto all’errata trascrizione dell’Odissea, in luogo della parola “penne” venne scritto “pinne” e così la sirena è stata descritta con la coda del pesce.
I Greci crearono questa piccola colonia, ma, poiché subiva facilmente attacchi dalla costa e non era facile da salvaguardare, la abbandonarono per spostarsi verso l’attuale centro città e fondare la Neapolis.
Megaride rimase sostanzialmente abbandonata sino al I secolo a.C., quando Lucio Licinio Lucullo, famoso generale romano ed amico di Cicerone, decise di costruire una vera e propria cittadella, partendo dall’isola di Megaride ed estendendosi da un lato verso Posillipo e dall’altro verso la zona dove c’è il Maschio Angioino.
In seguito alla caduta dell’Impero Romano, occidentale ed orientale, arrivano i Normanni, che prendono possesso di questo isolotto e creano una prima fortezza, in cui Federico II vi pone un tesoro, che, peraltro, non fu mai trovato.
Ai Normanni poi succederanno gli Svevi.
Nello stesso tempo viene realizzato Castel Capuano, nella zona della stazione centrale, che sarà la prima Reggia a Napoli, sostituita dopo dal Maschio Angioino.
Gli Angiolini, infatti, subentrarono agli Svevi e realizzarono le loro costruzioni quasi tutte in tufo. Quando giunsero a Napoli, scoprirono come questo materiale fosse facile da lavorare e lo utilizzarono per costruire quasi tutte le strutture.
Castel dell’Ovo non è il tipico castello con un fossato, è appoggiato su un’isoletta sul mare, ha un muraglione laterale in tufo, che lo divide dallo splendido Borgo Marinari, costruito in stile neoclassico ottocentesco.
Il tufo permette di edificare in altezza e Napoli è la città che ha l’altezza media più grande di Europa, proprio per l’utilizzo del tufo.
Una cosa che consiglio di fare è acquistare un biglietto d’ingresso per vedere il Castello e godere anche dell’interno e della splendida vista sul Golfo di Napoli.
Sull’isolotto di Megaride ci sono passati tutti: prima i Greci, poi i Romani, gli Svevo-Normanni, la fase monastica e poi gli Angioini-Aragonesi e le varie dinastie che hanno governato Napoli.
La posizione di Megaride era strategica, era un avamposto al centro della baia di Napoli, da qui si vedeva tutto: il Monte Somma, la costa sorrentina, Capri, Posillipo.
La visita a Castel dell’Ovo ti consente di salire sopra verso la Grotta dei Monaci Basiliani e di Santa Patrizia, nipote di Costantino, che crea qui il suo ordine monastico.
C’è la sala delle colonne, la più antica, dove i materiali della struttura romana sono stati portati come materiale di riutilizzo.
All’interno di Castel dell’Ovo, troviamo due Chiese: la Chiesa dei Monaci Basiliani del V secolo e la Chiesa di San Pietro, risalente all’VIII secolo d.C., molto piccola, appartenuta ad un altro ordine monastico.
Lasciamoci incantare dalla vista che si gode dalle terrazze del Castello: di fronte a Castel dell’Ovo abbiamo Pizzofalcone, dove hanno girato la serie tv “I bastardi di Pizzofalcone”. Il nome è dovuto a Federico II di Svevia, che era un abile falconiere e su quel “pizzo” di monte si esercitava.
Se osserviamo oltre Pizzofalcone, sulla parte alta, abbiamo Castel Sant’Elmo che svetta su Napoli. Di origine normanna, venne poi adottato dagli Angioini ed è la fortezza più in alto della città, alla base della quale verrà edificata la Certosa di San Martino, da cui si ha la visuale più spettacolare della città.
Durante la visita, si può entrare nel Romitorio di Santa Patrizia, che ha i tetti molto bassi e si accede con gli elmetti. Le pareti un tempo erano affrescate e lo si è compreso perché vi sono piccole macchie di colore.
Come molte grotte di Napoli, anche questa era legata ad un culto persiano molto antico, quello del dio Mitra, ma poi vennero utilizzate in seguito dai vari ordini monastici.
Questo Romitorio, ovvero il rifugio degli eremiti con cellette piccole e senza possibilità di contatti con il mondo, viene creato dai Monaci Basiliani nel V secolo.
I Monaci vi rimangono fino all’arrivo di Santa Patrizia, la nipote di Costantino, che, costretta a fare un matrimonio indesiderato, lascia Costantinopoli e giunge con una nave a Napoli, dove naufraga e si ferma qui.
Santa Patrizia entra nel romitaggio e fonda l’Ordine delle Patriziane.
Lo sapevi che Santa Patrizia è la Patrona di Napoli insieme a San Gennaro?
Anche Santa Patrizia ha l’ampolla con il sangue che si liquefa ogni anno nel suo monastero al centro storico di Napoli.
L’isolotto di Megaride aveva la forma di un uovo, da cui deriva la leggenda di Virgilio.
Così, andiamo proprio dove la leggenda vuole che fosse contenuto l’uovo di Virgilio, molto probabilmente, invece, sotto questa sala è contenuto il tesoro di Federico II di Svevia, anche questo non è mai stato trovato.
Nel Medioevo si poneva all’interno delle Chiese un uovo, che attirava energie positive nei luoghi di culto, ma sicuramente non parliamo dell’uovo di Virgilio.
Che i napoletani siano superstiziosi, è un dato di fatto! I napoletani nella storia hanno sempre creduto fortemente alla presenza dell’uovo di Virgilio, si dice che durante il regno di Giovanna I ci furono 70 giorni di tempeste, che la popolazione attribuì all’infausta possibilità della rottura dell’uovo di Virgilio.
Qui Giovanna I fu molto astuta, riuscì, infatti, a calmare gli animi, portando in processione un uovo di struzzo dipinto d’oro, spacciandolo per quello di Virgilio.
Usciamo da Castel dell’Ovo per inoltrarci verso il cuore della città, passando prima per Piazza Plebiscito, l’iconica piazza di Napoli.
PIAZZA PLEBISCITO
Con i suoi 25 mila metri quadrati è la piazza più grande della città e per i napoletani è il centro vitale dove si tiene di tutto: grandi concerti, manifestazioni, eventi culturali e ci si ritrova.
A Piazza Plebiscito si affacciano il Palazzo Reale e la Chiesa di San Francesco di Paola.
Tra la Basilica ed il Palazzo Reale abbiamo le statue equestri di Carlo III di Borbone e Ferdinando I realizzate dal Canova.
Quando parliamo di Piazza Plebiscito, non possiamo non far riferimento al grande architetto Domenico Fontana, a cui si deve il Palazzo Reale e con esso la nascita della Piazza.
Fu proprio Fontana che decise che l’entrata del nuovo Palazzo Reale non sarebbe stata verso via Toledo, ma rivolta verso questo nuovo slargo, che prese il nome di Largo di Palazzo.
Il nome Piazza Plebiscito lo assunse dopo l’annessione al Regno d’Italia a seguito di un plebiscito.
Ovviamente, anche Piazza Plebiscito ha le sue leggende: si narra che la Regina Margherita una volta al mese concedesse la grazia ai carcerati che, bendati, fossero in grado di camminare dritti per 170 metri, dalla Regia sino alla Chiesa passando tra le due statue equestri.
Nessuno ci riuscì mai ed ancora oggi chiunque ci provi a bendarsi ed a camminare dritto sino in fondo, si ritrova al Gambrinus.
A Piazza Plebiscito devi visitare assolutamente il Palazzo Reale e lasciarti incantare da quella che fu la residenza dei Re del grande Regno di Napoli.
PALAZZO REALE
Il Palazzo Reale di Napoli nasce nel 1600 per volontà del Vicerè Fernando di Castro, prima come nuova sede dei Vicerè e poi dal 1734 del nuovo Regno di Napoli voluto da Carlo di Borbone.
La nuova costruzione venne addossata alla preesistente Fortezza dei Vicerè, ovvero il Palazzo Vecchio, non più visibile, voluto a metà del 1500 da Don Pedro di Toledo.
Con l’unificazione italiana, il Palazzo divenne la sede di Napoli dei Savoia, fino a che dal 1946 con la nascente Repubblica Italiana una parte del Palazzo è diventata la Biblioteca Nazionale di Napoli e gli splendidi Appartamenti storici del piano nobile sono diventati un Museo.
Come ho già accennato, è opera del famoso architetto Domenico Fontana ed ha visto illustri ampliamenti operati da Ferdinando Sanfelice e Luigi Vanvitelli.
Non ci resta che entrare nel Palazzo e lasciarci stupire dal meraviglioso SCALONE, che ci conduce al piano nobile.
Lo Scalone venne realizzato in piperno tra 1651 ed il 1666 da Francesco Antonio Picchiatti ed ha delle dimensioni notevoli, 30 metri di altezza con un’estensione di 750 mq.
Nel 1800 subisce un radicale restauro e viene progettato in marmo, con decorazioni neoclassiche e sculture monumentali.
Montesquieu, il grande filosofo e pensatore politico francese, lo ha definito “la più bella scala d’Europa” e sentiamoci orgogliosi di averla nella nostra Napoli.
Percorriamo lo Scalone come fossimo illustri ospiti dei Borbone e saliamo al piano nobile per ritrovarci nel TEATRO DI CORTE.
Il Teatro di Corte era inizialmente la Sala Regia, ma in occasione delle nozze di Ferdinando IV di Borbone con Maria Carolina d’Austria nel 1768 si decise di trasformare la Sala Regia in Teatro di Corte e venne affidato il progetto all’architetto Ferdinando Fuga.
Vennero realizzate decorazioni in stucco bianco ed oro, il palco reale e le sculture sono in cartapesta.
Il Teatro venne danneggiato da un bombardamento del 1943 ed il palcoscenico ed il soffitto non sono più originali, ma furono restaurati.
Ho avuto il piacere e la fortuna di visitare il Palazzo in un giorno in cui non vi era nessuno e nel silenzio delle sale ho immaginato come potesse essere sfarzosa la corte dei Borbone, mi sono figurata il Teatro durante la rappresentazione delle commedie e le scroscianti risate degli astanti e poi ho proseguite nelle stanze.
Andiamo nel nucleo antico del Palazzo al piano nobile, il cosiddetto APPARTAMENTO DI ETICHETTA, dove si attraversano tre ANTICAMERE prima di giungere alla Sala del Trono, tra cui spicca la Sala Diplomatica, dove sostavano i diplomatici in attesa di essere ricevuti, in cui va ammirato il soffitto barocco, realizzato da Francesco De Mura per le nozze tra Carlo di Borbone e Maria Amali di Sassonia.
In queste Anticamere vanno ammirati le decorazioni ed i preziosi arredi originali.
La SALA DEL TRONO ha un grande baldacchino di velluto sotto cui vi è il Trono stile Impero del 1850 ed è circondata da ritratti di personaggi di corte, re e regine e sul soffitto vi sono le Allegorie delle dodici Province del Regno delle Due Sicilie.
A seguire si percorrono diverse sale, tra cui la SALA DEGLI AMBASCIATORI, che è un’antica galleria, poi la SALA DI MARIA CRISTINA, la SALA DEI FIAMMINGHI, fino a giungere alla Sala XIII, lo STUDIO DI GIOACCHINO MURAT, che conserva ancora il mobilio, che era stato realizzato a Parigi per il Quirinale come residenza di Napoleone Bonaparte, ma che poi furono dati a Carolina Bonaparte, regina di Napoli.
La Sala XIV corrisponde alla STANZA DELLA REGINA, ovvero la camera da letto della Regina Maria Amalia di Sassonia, divenuto poi Quarto Salotto della Regina, con il soffitto decorato in stucchi bianco ed oro ed affreschi di scuola napoletana del Seicento e Settecento.
Seguono le meravigliose Sale adibite a Salotto della Regina per giungere poi alla CAPPELLA REALE, che era stata realizzata per celebrare le cerimonie religiose del Palazzo.
L’altare in pietre dure del 1674 proviene dalla Chiesa di Santa Teresa e venne portato qui quando Napoleone Bonaparte decretò la soppressione degli ordini religiosi nel 1808.
Ovviamente, è d’uopo fare un giro nel GIARDINO PENSILE, ovvero IL GIARDINO DEL BELVEDERE, che rientrava nel progetto di ampliamento del Palazzo, e quindi anche del terrazzo, voluto da Carlo di Borbone arrivato a Napoli nel 1734.
Da qui si ha una magnifica vista sul Golfo di Napoli.
Lasciamo Palazzo Reale per girare verso il Teatro San Carlo.
TEATRO SAN CARLO
Il Real Teatro San Carlo del 1737 ha un primato, è il teatro d’opera più antico del mondo ancora attivo.
E’ Patrimonio dell’Unesco, con la sua pianta a ferro di cavallo è stato l’esempio per la maggior parte dei teatri d’Europa, che furono edificati successivamente.
Il suo nome lo deve a Re Carlo III di Borbone e venne inaugurato proprio nel giorno di San Carlo, il 4 novembre del 1737.
E’ collegato al Palazzo Reale tramite un passaggio segreto, che faceva in modo che il Re non uscisse mai da Palazzo per recarsi a teatro.
Un sistema di specchi inclinati rifletteva il palco reale e questo faceva sì che nessuno potesse mai osare applaudire prima che il Re avesse dato la sua approvazione.
Nel 1816 il Teatro venne devastato da un incendio e fu ricostruito l’anno successivo dall’architetto Nicolini in stile neoclassico. All’inaugurazione vi partecipò Stendhal, che disse che in tutta Europa non vi era nulla che si avvicinasse al Teatro San Carlo.
Di fronte al Teatro San Carlo vi è l’entrata principale della Galleria Umberto I.
GALLERIA UMBERTO I
La Galleria Umberto I è un Liberty del 1887, dedicata al Re Umberto I d’Italia, che aveva visitato la città durante l’epidemia di colera del 1884 ed aveva dato il via ad un piano di risanamento della città, specialmente in questo quartiere all’epoca malfamato, sovraffollato ed in condizioni igieniche insostenibili.
Ha ospitato il primo Can Can d’Italia al Gran Salone Margherita, simbolo della Belle Epoque e delle notti piacevoli dei napoletani, ma quello che probabilmente non sai è che è un Tempio Massonico, al numero 27 vi era la Loggia Massonica Grande Oriente d’Italia.
Il progetto vincitore fu quello dell’ingegnere Emmanuele Rocco, che prevedeva una galleria a quattro braccia in una croce ottagonale, sormontata da una cupola.
E’ un ottagono perfetto, simbolo della vita eterna e della resurrezione, se guardi in alto verso la cupola, noterai otto pennacchi, otto figure femminili, otto lampadari.
Sotto la cupola sul pavimento notiamo i mosaici con i 12 segni zodiacali, la leggenda vuole che se vuoi tornare a Napoli, devi girare tre volte sul tuo segno zodiacale.
Io l’ho fatto e ci sono tornata!
Torniamo a Piazza Plebiscito verso via Chiaia, dove gusteremo un caffè allo storico Gran Caffè Gambrinus, una vera e propria istituzione di Napoli.
GRAN CAFFÈ GAMBRINUS
Il GRAN CAFFÈ GAMBRINUS, elegante e raffinato, era il caffè letterario della Belle Epoque napoletana, qui ci sono passati tutti, artisti, politici, nobili e celebrità e qui troviamo anche il famoso “caffè sospeso”, l’usanza napoletana di pagare un caffè in più per qualcuno, che non ha la possibilità di permetterselo, segno del grandissimo cuore dei napoletani.
Chi era Gambrinus? Era il Re delle Fiandre, Dio della birra.
Una storica dell’arte tedesca, innamorata di Napoli, ha regalato al Caffè Gambrinus una statua di legno di Gambrinus, custodita nel magazzino di una birreria in Germania.
Facciamo una dovuta precisazione, il caffè gustato al bancone ha un costo normale ed è accessibile a tutti.
Sulla facciata esterna fermati a leggere un capolavoro di verità assoluta: “A livella” di Totò. E chi più del grande Principe Antonio De Curtis ha rappresentato l’anima di Napoli?
Giriamoci verso Via Chiaia ed i Quartieri Spagnoli.
VIA CHIAIA
Via Chiaia è un nome di derivazione spagnola, ovvero la ghiaia della spiaggia, perché qui scorreva uno dei tanti fiumi artificiali, presenti in città, e vi si formava il fango.
La data di creazione di Via Chiaia è quella del 1536, la medesima di via Toledo, quando nasce tutto il borgo Santa Lucia, che era abitato da pescatori.
La porta di Chiaia non è dove oggi la vediamo, ma è stata spostata e, attraversata la porta, si arriva ad un altro centro città, Borgo Santa Lucia, Castel dell’Ovo.
QUARTIERI SPAGNOLI
Da Via Chiaia ci inoltriamo nei Quartieri Spagnoli, ovvero entriamo nella Napoli vera e verace, probabilmente la zona più trendy di Napoli per ogni turista che visita Napoli.
Già alla loro nascita erano un luogo malfamato, popolato da prostitute e da bische, luogo di diletto per gli eserciti spagnoli. Fino a non molti anni fà, i Quartieri erano preceduti dalla fama di essere pericolosi, era zona off limits, non si entrava nei Quartieri senza conoscere qualcuno ed era un mondo a sé.
Quegli anni sono lontani anni luce dai Quartieri Spagnoli di oggi, che hanno subito una vera e propria rivoluzione copernicana, pur mantenendo la loro peculiarità. I Quartieri sono un piccolo mondo nell’universo Napoli.
Cominciamo da un’istituzione cittadina, PIZZERIA BRANDI, dove tutti i personaggi famosi vanno a mangiare la pizza a Napoli, perché qui si è fatta la storia. Una targa, infatti, ricorda che qui è nata la Pizza Margherita ed abbiamo già detto tutto. La pizza più famosa al mondo, quella che rappresenta l’Italia nel globo, vede la sua creazione proprio qui. Il pizzaiolo Raffaele Esposito, detto Don Rafele, venne chiamato nella residenza reale di Capodimonte per preparare la pizza per le Maestà.
Armatosi nel suo carretto di tutto l’occorrente, giunse a Palazzo e preparò una serie di pizze dai gusti differenti e la Regina Margherita apprezzò particolarmente quella pomodoro, basilico e mozzarella ed il piazzaiolo gliela dedicò.
Il bello dei Quartieri Spagnoli lo puoi vivere passeggiando nei vicoli tra negozietti e bancarelle di formaggi, frutta, verdura e prodotti locali con colori e profumi incredibili.
Nei Quartieri Spagnoli sono immancabili i motorini, che passano con il conducente ed il passeggero senza casco, ma è il loro mondo, un universo a sé stante, dove vedi ancora i panieri calati dai balconi, i panni stesi lungo delle corde tirate da un palazzo all’altro, un persistente odore di sugo e di panni lavati, che ti dà il senso di casa.
In Via Sant’Anna di Palazzo possiamo ammirare uno dei murales più fotografati dei Quartieri, realizzato dalla street artist Leticia Mandragora. Il murale rappresenta ELEONORA PIMENTEL FONSECA, la nobildonna rivoluzionaria che viveva proprio qui e che nel 1799 venne impiccata per tradimento.
Un esempio di napoletanità verace dei Quartieri da non perdere è la TRATTORIA NENNELLA, la cui specialità è un classico della cucina napoletana, la pasta e patate con la provola. La Trattoria Nennella è un ristorante con menù fisso, è un luogo simpaticissimo, dove ti coinvolgono nello spettacolo e ti fai un sacco di risate.
Qualora non volessi fare la fila da Nennella, potresti sempre optare per la pizza a portafoglio, che è quella che i napoletani mangiano come spuntino, quando ancora non è ora di cena ed occorre attendere.
Non credere che vi siano solo palazzi decadenti, alza lo sguardo e potrai vedere splendidi palazzi signorili, con splendide decorazioni e simboli apotropaici.
Cosa non puoi perderti nei Quartieri è il SANTUARIO DI MARADONA a Largo degli Artisti ed è qualcosa di veramente incredibile.
IL SANTUARIO DI MARADONA
La prima cosa che mi è saltata all’occhio è l’effigie di Maradona che ricopre una finestra, chiunque vi abiti, non può commettere il sacrilegio di aprire quella finestra e rovinare la faccia di Maradona. Parliamo sempre di “San Diego” ed immagino l’orgoglio tutto napoletano del “qui ci abito io!”.
Maradona lo vediamo dipinto in tutte le maniere, anche come San Gennaro!
Mi raccomando, allora, non puoi perderti il Santuario di Diego, perché è un po’ come se ti mancasse un pezzo di Napoli, il suo cuore!
Ammiriamo il murales di Bosoletti, che si è ispirato alla splendida scultura di Antonio Corradini “La Pudicizia”, custodita nella Cappella Sansevero.
Sempre a Largo degli Artisti ammiriamo i murales dedicati ai grandi artisti napoletani, bellissimo quello de “L’Oro di Napoli” con Totò, Massimo Troisi e Pino Daniele.
Ritorniamo a Via Toledo, la via dello shopping napoletano.
VIA TOLEDO
Via Toledo nasce nel 1536 come strada nobiliare per volere di don Pedro Alvarez de Toledo ed ancora oggi lungo un percorso di un kilometro e duecento metri si possono ammirare gli antichi palazzi appartenuti alla nobiltà napoletana.
Su via Toledo sono nati dei termini che ancora oggi utilizziamo nel linguaggio comune, come ad esempio lo “struscio”, inteso come fare la passeggiata, ma anche la “zoccola” e vediamo da dove derivano.
Durante la Settimana Santa, le nobildonne facevano il “giro delle Sette Chiese”, ma le strade non erano asfaltate, vi era il brecciolino.
Quando queste donne, con i loro vestiti suntuosi, passeggiavano per le strade, nel silenzio della Settimana Santa si avvertiva solo lo struscio dei loro vestiti e da qui il termine “struscio”.
Come si arriva al termine prostituta ovvero “zoccola”?
Torniamo sempre al discorso delle famose nobildonne, le quali per evitare lo struscio mentre passeggiavano, iniziarono ad indossare le scarpe con le zeppe, ovvero gli zoccoli alti, così da poter avere un rialzo e non sporcare più il vestito.
Queste dame passeggiavano su via Toledo, la strada nobiliare a ridosso dei Quartieri Spagnoli, che pullulavano di prostitute. Queste ultime dai vicoli osservavano come erano vestite le dame e così cominciarono ad abbigliarsi proprio come le signore, utilizzando questi zoccoli molto alti, da qui la definizione di zoccole.
L’illuminazione un tempo era solo sulle strade principali, mentre i vicoli erano molto bui e pericolosi per i passanti, così vennero addobbati con cappelle votive illuminate, dedicate alla Madonna e si era soliti dire “che la Madonna ti accompagni!”, un’espressione ancora in voga adesso.
Arriviamo a Largo Berlinguer, dove c’è la fermata metro di Via Toledo.
La metropolitana di Napoli è stata definita dal The Daily Telegraph “la metro più bella d’Europa” e come non dargli ragione se le fermate sono piccoli musei?
La metro Toledo rientra nell’ambito del progetto di stazioni dell’arte: è 44 metri sotto il livello del mare ed è progettata con mosaici azzurri a richiamare il fondale marino, il soffitto è blu stellato e ti senti più in una spa di lusso che in una stazione.
Se dovessimo elencare i personaggi famosi che nel cuore di Napoli hanno soggiornato, vissuto o sono morti, dovremmo passare in rassegna l’enciclopedia.
Stendhal disse “Parto. Non dimenticherò né la via Toledo né tutti gli altri quartieri di Napoli; ai miei occhi è, senza nessun paragone, la città più bella dell’universo”.
Vogliamo dar torto a colui che ha dato il nome ad una sindrome psicosomatica da esposizione ad immensa bellezza? Direi proprio di no!
A Largo Berlinguer lo stile architettonico denota lo stampo fascista. Questa era la zona economica della città, la cosiddetta “zona dei Fiorentini”, che erano banchieri.
Saliamo ancora lungo Via Toledo ed ammiriamo i palazzi nobiliari come PALAZZO DORIA D’ANGRI, progettato da Luigi Vanvitelli, lo straordinario artefice della Reggia di Caserta, ma questo Palazzo è noto perché dal balcone principale il 7 settembre del 1860 Garibaldi dichiarò l’annessione del Regno delle Due Sicilie.
Su via Toledo ci fu l’ultima strenua resistenza napoletana contro l’invasore piemontese ed il tragico epilogo lo conosciamo.
Da qui, Piazza Sette Settembre, inoltriamoci tra le stradine del centro storico di Napoli, in cui c’è l’essenza della napoletanità.
Oltre al profumo di sfogliatelle e di sugo, troviamo botteghe con odore di pellame, librerie, perché vi sono molti studenti, e poi tanti ristoranti, pizzerie, negozi alimentari come quello delle mozzarelle, dove notiamo “o’ secchtiell ”, ovvero il secchiello con le mozzarelle o il “cuopp”, che può essere di mare o di verdure.
Giungiamo a PIAZZA DEL GESÙ NUOVO, dove al centro c’è la guglia della Vergine Maria, che è una delle tre guglie di Napoli, insieme a quella di San Gennaro e di San Domenico.
PIAZZA DEL GESÙ NUOVO
Ci sono delle figure che riportano alla morte, il velo della Madonna in certi giorni per la luce si trasforma nel velo della morte incappucciata, che ti guarda con la falce in mano.
Abbiamo in questa piazza PALAZZO DEGAS, il cui nome è Palazzo Pignatelli di Monteleone, ma fu acquistato dal nonno del celebre pittore Edgar Degas, che aveva sposato una donna livornese e si erano trasferiti a Napoli in questo Palazzo ed erano nati tutti i loro figli, tra cui il padre di Edgar.
Edgar Degas venne a vivere qui all’età di 22 anni e ne rimase totalmente affascinato.
Abbiamo PALAZZO SANSEVERINO, la cui facciata è un’opera alchemica. Antonello Sanseverino, Principe di Salerno, era il capo dei cospiranti contro il re, capeggiò la “congiura dei baroni” nel castello del Maschio Angioino e gli venne portato via il Palazzo, che fu acquistano dai Gesuiti, che vi costruirono la Chiesa del Gesù Nuovo.
CHIESA DEL GESU’ NUOVO
La facciata della CHIESA DEL GESU’ NUOVO ha queste pietre a forma di piramide gettanti verso l’esterno, è un’opera alchemica, le sue pietre erano state predisposte in una determinata posizione, ma i muratori la cambiarono.
Sanseverino voleva irrorare le pietre di energia positiva di modo che la positività dall’esterno giungesse all’interno, ma cambiando la posizione delle pietre, tutte le negatività entravano nel palazzo: i proprietari furono cacciati dal Palazzo, che per 70 anni fu chiuso, quattro volte è caduta la cupola perché troppo pesante; durante la II Guerra Mondiale, gli alleati sganciarono due bombe, una entrò nella chiesa senza esplodere ed è ancora lì dentro, l’altra colpì Santa Chiara, un convento del 1300 dell’ordine delle Clarisse.
La Chiesa del Gesù ha una navata centrale con l’abside, due corridoi a sinistra ed a destra e 10 cappelle, la più importante è quella di San Ciro, dove ci sono le reliquie di tutti i Papi della storia e 4 colonne di marmo verde e oro di Prato.
Abbiamo la cappella dei Santi Martiri, di Gesù Cristo, di Ignazio da Loyola, di San Ciro e quella di GIUSEPPE MOSCATI, il medico che lavorava nella Cappella degli Incurabili, una volta terminato il lavoro, continuava nello studio che aveva qui nella cappella, non facendosi pagare dai poveri.
La sua celebre frase è “chi ha metta, chi non ha, prenda”.
È in questa cappella che è conservata la bomba a ricordo di quel momento tragico.
Tutti gli affreschi sul soffitto sono dedicati a Gesù ed a Maria.
MONASTERO DI SANTA CHIARA
Poco più avanti della Chiesa del Gesù, c’è il MONASTERO DI SANTA CHIARA.
Qui consiglio di acquistare il biglietto per ammirare i suoi interni, specialmente il meraviglioso chiostro.
Il Monastero di Santa Chiara venne costruito nel 1310 per volere di Roberto d’Angiò e della moglie Sancia di Maiorca.
La facciata è in stile gotico con un rosone traforato, ma a metà del 1700 il complesso subì delle modifiche, che gli diedero un aspetto barocco. Fu opera dell’architetto Vaccaro, a cui si deve il chiostro, in cui ha diviso il giardino in quattro parti tramite due viali fiancheggiati da pilastri ricoperti di splendide maioliche. I pilastri sono collegati tra loro attraverso sedili anch’essi maiolicati. Le pareti del chiostro sono completamente affrescate.
Lasciamo Santa Chiara ed avviamoci verso Via San Sebastiano, la strada dei musicisti, dove vi sono negozi di strumenti e vi è il Conservatorio di Musica, da cui è uscito anche il grande Maestro Riccardo Muti.