URBINO: LA CITTA’ DI FEDERICO CHE FU PATRIA DI RAFFAELLO E CULLA DEL RINASCIMENTO

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Adagiata sulle dolci colline tra la valle del Foglia e quella del Metauro, Urbino è il gioiello delle Marche, patria di Raffaello Sanzio, culla del Rinascimento italiano e capitale dell’Umanesimo Matematico.

URBINO:CULLA RINASCIMENTALE

URBINO: LA CITTA’ DI FEDERICO CHE FU PATRIA DI RAFFAELLO E CULLA DEL RINASCIMENTO

Grazie alla perfetta conservazione del suo piano urbanistico rinascimentale, dal 1998 è stata proclamata Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.

Una passeggiata per le strade e le piazze di Urbino è un percorso a ritroso nel tempo, dove le costruzioni medievali ben si sposano con le architetture rinascimentali, in una splendida cittadina dove un tempo vi si insediarono i Romani, chiamandola Urvinum Metaurense, che venne distrutta e riscostruita sulle sue macerie.

Il periodo più fulgido di Urbino è legato indissolubilmente alla figura del grande FEDERICO DA MONTEFELTRO, che fa di Urbino la culla del Rinascimento e la rende il “posto in cui essere”, un punto di riferimento per artisti, architetti, storici, filosofi, matematici, politici provenienti da ogni parte.

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Come nasce la famiglia dei Montefeltro?

Parte tutto da Carpegna, in provincia di Pesaro-Urbino, i cui Conti furono insediati lì da un Imperatore. Non si conoscono bene le loro origini, dato che la documentazione storica andò bruciata durante un incendio al castello di Carpegna a causa proprio di Federico da Montefeltro.

Il nome Carpegna identifica il luogo in cui si insediarono, chiamato così per la presenza di alberi carpini.

La famiglia dei Conti di Carpegna, che avevano l’araldica fondo blu con la banda argento, si divide: una parte va a Rimini, i Malatesta, e l’altra si ferma nell’attuale San Leo, che al tempo era chiamata Mons Feretrus, perché probabilmente in passato c’era un tempio dedicato a Giove Feretrio. Dall’antico nome di San Leo deriva Montefeltro e proprio a Mons Feretrus ed una parte della famiglia assume il nome di Montefeltro.

Lo stemma dei Montefeltro ha ripreso il fondo blu, ma con la banda color oro.

CHI E’ FEDERICO DA MONTEFELTRO?

Federico, figlio naturale dI Guidantonio da Montefeltro, nasce a Gubbio nel 1422. Al padre inizialmente succede il fratellastro Oddantonio, che però muore prematuramente in una congiura, ed è così che Federico sale al potere, acclamato dal popolo.

Federico vive per sessant’anni una vita intensissima, ha due mogli, ma lo ricordiamo tutti nel famoso dittico di Piero della Francesca, conservato agli Uffizi di Firenze, con la seconda ed amatissima consorte, Battista Sforza.

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Lavora per il duca di Milano, Francesco Sforza, colui che vuole sistemare l’Italia centrale e che fa sposare la nipote Battista a Federico da Montefeltro e la figlia Polissena a Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini e Fano ed acerrimo nemico di Federico.

Per avere un’idea di chi fosse Federico, basterebbe guardare il “Ritratto di Federico da Montefeltro col figlio Guidobaldo”, attribuito a Pedro Berruguete. URBINO: LA CITTA’ DI FEDERICO CHE FU PATRIA DI RAFFAELLO E CULLA DEL RINASCIMENTO

Perché guardare questo ritratto? Perché è l’immagine che Federico vuole dare di sé al mondo: indossa l’armatura, a voler indicare che era un soldato ed anche valoroso, ma Federico non è solo il soldato, si fa ritrarre con in mano il libro aperto, a sottolineare che della cultura ne ha fatto il suo stile di vita. Federico era un uomo coltissimo, che possedeva 20.000 manoscritti, che il Papa porterà a Roma e che diventeranno il cuore della Biblioteca Vaticana.

Questo ritratto è ricco di particolari significativi come la spada, proprio perché uno dei suoi principi era la giustizia, ed indossa la giarrettiera, che riceverà dal Re d’Inghilterra.

C’è una ragione per cui Federico viene solitamente rappresentato di profilo ed è sempre il medesimo: durante un torneo cavalleresco, rimase sfigurato, si ferì al naso, perse l’occhio e cadde da cavallo.

In seguito, pronuncerà una frase storica “vedrò più io con un occhio solo che tutti gli altri signori d’Italia”.

Federico inizialmente nutriva dei dubbi sul matrimonio con Battista, che aveva solo 14 anni, mentre lui ne aveva 38.   Battista, però, non era una donna come le altre, era fuori dal comune, coltissima e vissuta nell’ambiente raffinato degli Sforza.

Dal loro matrimonio nasceranno prima delle bambine e poi infine il tanto agognato erede, Guidubaldo, colui che nel 1606 aprirà l’Università di Urbino, un polo accademico che ancora oggi è rinomato in Italia.

A soli 10 anni Guidubaldo si trova orfano di padre e poco dopo di madre. Si ritrova a governare due Stati, il Ducato di Urbino da Montefeltro e la Massa Trabaria, una zona appenninica attualmente compresa tra le Marche e la Toscana, che Federico aveva acquisito dal primo matrimonio ad Urbania con Gentile Brancaleoni.

PALAZZO DUCALE 

 

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Il Palazzo Ducale di Urbino è il grande progetto di Federico da Montefeltro, ma il Palazzo risale al nonno di Federico, il conte Antonio da Montefeltro, che decise di porre la sua residenza di fronte al Duomo e poi il figlio Guidantonio fece costruire un palazzetto, che corrisponde a quello che sarà l’Appartamento della Jole.

Il Palazzo è stato costruito in vari momenti, la prima fase è quella della parte più antica, dove si trova l’Appartamento della Jole, poi c’è l’Appartamento dei Melaranci, l’appartamento degli ospiti che arriva fino alla famosa facciata dei Torricini con la sigla FC a lettere cubitali.

Notiamo le sigle FC (Federico Conte), periodo durante il quale l’architetto fu Luciano Laurana, e FE dux (Federico Duca), con Francesco di Giorgio Martini.

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Quando Federico sale al potere, vuole rendere il Palazzo grandioso, tale da superare tutte le residenze principesche d’Italia.

Nel 1475 Federico chiama Francesco di Giorgio Martini per finire il lavoro del palazzo e qui cambia tutto, il palazzo ducale è ibrido.

Nel momento della sua ascesa al potere, non vi erano altri palazzi ducali, la sua apertura mentale fa sì che questo edificio non debba essere quello caratteristico di tutti i signori del momento, ossia il castello.
Oggi diremmo che Federico è un uomo “avanti”, una spanna sopra gli altri e che il suo fu un concept.

Lui ha altro concetto, è un uomo di elevatissima cultura, che possiede un’immensa biblioteca. L’architetto deve partire necessariamente dagli elementi architettonici del passato, quelli del castello, ma li trasforma.

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Federico nel 1474 riceve dal Papa il titolo di duca e l’aquila avrà la corona per questo motivo, riceverà dal Re d’Inghilterra la giarrettiera e da quello di Napoli l’ermellino, onorificenze che lo associano alla figura di grande soldato, che non tradiva e che alla base del suo governo pose “iustitia, clementia, liberalitas et religio pace”, ma Federico non è un guerrafondaio.

Federico di Urbino era Duca di Montefeltro e Conte di Casteldurante, l’odierna Urbania, nonché era Gonfalone della Santa Romana Chiesa.

Vi era un accordo con il Papa, se avesse avuto figli maschi, avrebbero continuato a governare sul territorio, se non li avessi avuti, il Papa si sarebbe riappropriato della terra.

La dinastia dei Montefeltro si estingue con Guidubaldo, la cui figlia Giovanna sposerà un Della Rovere. Le meraviglie di questo Palazzo, quali arredi, quadri, tesori ed argenterie andranno a Pesaro, ad Urbania e dopo di loro a Firenze, grazie a Vittoria della Rovere, che sposa il granduca di Toscana, Ferdinando II de Medici.

Lo scalone, il cortile, l’appartamento di Federico, la facciata dei Torricini è FC (Federico Conte), quindi prima del 1474 e l’architetto è il dalmata Luciano Laurana. Il travertino bianco giunge da Piobbico e dalla Gola del Furlo.

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Avevo già accennato che Guidubaldo era succeduto a Federico alla guida del Ducato all’età di 10 anni e venne aiutato in questo da Ottaviano Ubaldini, fratello del duca, che qui viene rappresentato con Federico da Francesco di Giorgio Martini, che ce li pone uno di fronte all’altro, allo stesso livello, a testimoniare che si tratta di due pari.

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Ottaviano Ubaldini, coadiuvato da Francesco di Giorgio Martini, comincia una ristrutturazione delle strutture difensive e commissiona la Rocca di Sassocorvaro, chiamata la Testuggine per la sua forma a tartaruga, e che durante la II Guerra Mondiale fu il rifugio di oltre 10.000 opere d’arte, salvate dalle razzie naziste.

CORTILE D’ONORE

Il CORTILE D’ONORE viene progettato ed iniziato da Luciano Laurana ed è un brillante esempio di prospettiva rinascimentale, Viene terminato, dopo la partenza di Laurana nel 1472, da Francesco di Giorgio Martini, a cui si deve il piano superiore.

Sopra le arcate vi sono le iscrizioni che celebrano la figura di Federico da Montefeltro come guerriero in battaglia ed uomo di giustizia, clemenza e liberalità in pace.

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PIANO NOBILE 

Una scalinata ci porta al piano nobile o primo piano, che è il cuore pulsante del Palazzo Ducale di Urbino ed è costituito da circa 30 ambienti, che formano cinque appartamenti insieme al Salone del Trono. Vi erano infatti gli Appartamenti della Jole, l’Appartamento dei Melaranci, l’Appartamento degli ospiti, l’Appartamento del Duca e l’Appartamento della Duchessa.

APPARTAMENTI DELLA JOLE

Gli APPARTAMENTI DELLA JOLE sono una serie di sette stanze, che costituiscono il primo nucleo in cui Federico e Battista vissero, è l’ala più antica del Palazzo, quella in cui Battista volle vivere.

Partiamo proprio dalla SALA DELLA JOLE, il cui nome deriva dalle due figure che troviamo sul camino: Ercole e Jole, dove Ercole rappresenta il coraggio di Federico come soldato e Jole è l’amore che univa Federico e Battista, una coppia affiatatissima, tanto che quando alla morte di Battista, Federico le organizzerà un funerale così sontuoso da far dire al Papa che quello era un funerale degno di un re, quando lei era solo una donna.

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Entriamo nella SALA DEGLI UOMINI D’ARME O SALA DELLE NOZZE DI FEDERICO, chiamata Sala  degli uomini d’Arme per le pitture murali rappresentanti uomini in armi, ma dopo recenti restauri si è ritenuto opportuno chiamarla Sala delle nozze di Federico e Battista.

 

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Alcuni elementi delle stanze degli Appartamenti della Iole, quali le bifore e le decorazioni del pavimento, cambieranno con il cambiare dei personaggi e dei tempi, mentre l’aquila è l’unico elemento che vediamo fino alla fine.

Dopo i restauri sulle pareti trovano gli uomini d’armi e la loro araldica, le bande blu e color oro di Federico e l’aquila, poi trovano una coda e sotto l’ala dell’angelo il muso di un leone.

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Il palazzo di Urbino nel 1902 diviene la GALLERIA NAZIONALE DELLE MARCHE, ma purtroppo tutto quello che c’era dentro è stato portato, ad eccezione di capolavori come la Flagellazione di Cristo, La Città Ideale e Gli Uomini Illustri, che sono stati riportati qui.

Entriamo nella SALA DELL’ALCOVA

 

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Era la camera da letto di Federico, prima di trasferirsi nella nuova ala.

L’Alcova è stata ritrovata recentemente nei sotterranei, ma era tutta scomposta. E’ formata da pannelli, ognuno dei quali è un racconto su Federico, che ha ricevuto il titolo di duca, vi è una specie di medusa, la bombarda scoppiata, ad indicarci che era un soldato. La frase scritta intorno alla giarrettiera recita “non mai”, ovvero non devi pensare al  tradimento, perché non lo farò mai, abbiamo nuovamente la sigla di Federico, l’aquila e c’erano poi le piante.

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La presenza di cardini fa dedurre che la porta si chiudesse. Al centro c’era il letto, circondato da piante e che riceveva luce dall’alto, per dare l’idea di stare in mezzo un giardino.

Continuando l’esplorazione delle sale degli Appartamenti della Jole, notiamo le splendide tele dipinte sul legno.

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Nel medioevo l’esaltazione della Chiesa giungeva a tutti tramite le immagini, durante il periodo napoleonico, i polittici divennero tanti piccoli quadri, come in questo caso.

Qui finisce la parte più antica del Palazzo, ricordiamo che quando Federico giunge qui nel 1444, non c’era niente. E’ con Laurana dal 1466 al 1472 che i corpi del palazzo vengono uniti.

La costruzione del palazzo continua nel 1475 con l’arrivo di Francesco di Giorgio Martini e la costruzione del Giardino Pensile, l’Appartamento della duchessa, i piani -1 e -2, la scuderia esterna ed arriva il troncone attraverso cui va a costruire la scala, la “lumaca”, che inizialmente non aveva gradini.

In questa prima area troviamo dei capolavori del 1600, che erano appartenuti a Paolo Volponi, un grande umanista e scrittore, che li dona alla Galleria Nazionale delle Marche.

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Qui abbiamo “LA CENA DELLA SACRA FAMIGLIA”, in cui Gesù è posto al centro come nell’ultima cena, ma anziché avere i 12 apostoli, abbiamo il padre e la madre come una normale famiglia, la famiglia esce fuori da quello sfondo nero e l’idea era che anche nel buio più totale noi troviamo dei punti fermi, uno di questi è proprio la sacralità della famiglia.

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Andiamo a vedere quelli che sono considerati dei capolavori assoluti della storia dell’arte:

la FLAGELLAZIONE DI CRISTO di Piero della Francesca.

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Piero della Francesca giunge Urbino nel 1469 e sarà ospite di Giovanni Santi, il padre di Raffaello.
Dai racconti del Vasari il maestro di Raffaello è stato il Perugino, ma il primo vero maestro del grande artista urbinate fu proprio il padre, nonostante il Vasari lo considerasse mediocre.

Nella Flagellazione l’immagine non è piatta, perché c’è una parte quella sinistra che sta più dietro rispetto all’altra e rappresenta il passato rispetto al tempo di Piero della Francesca, il presente, non abbiamo solo un soggetto sacro, abbiamo Gesù legato alla colonna, i due che lo stanno flagellando con il mantello ed abbiamo tre comuni mortali.

Questa è una delle opere più controverse della storia dell’arte, che ha dato adito ad oltre 40 interpretazioni e libri che si intitolano “le congetture  sulla flagellazione di Cristo”, difficile comprendere quale sia la reale, ma ci si può avvicinare.

Notiamo come la posizione del piede, della gamba e del braccio di Gesù a sinistra e quella del personaggio sulla destra in rosso siano le stesse, secondo un’interpretazione settecentesca probabilmente Piero della Francesca ci vuole raccontare che come il popolo deciderà che Gesù deve morire, così il popolo deciderà il 22 luglio del 1444 durante un’insurrezione di uccidere il personaggio biondo al centro della scena a destra, con la tunica rossa, ovvero Oddantonio II da Montefeltro, vittima della “congiura dei Serafini” nel 1444. Il personaggio a destra dell’uomo con la tunica rossa ha il mantello blu e oro, che sono i colori di Federico, e indossa la fascia rossa, che era il simbolo del potere sin dal tempo dei romani, l’altra figura potrebbe essere Guidubaldo, figlio di Federico.

Un’altra interpretazione vede sempre Oddantonio al centro, ma i due uomini al suo lato sarebbero i suoi consiglieri, Manfredo del Pio e Tommaso dell’Agnello, tutti e tre trucidati durante la congiura.

Alla morte di Oddantonio, arriva Federico, le porte di Urbino si chiudono, poiché gli abitanti temono la vendetta. Federico accetta di firmare un documento in cui non si vendicherà, gli urbinati gli aprono le porte e gli conferiscono il potere.

Ci sono due opere di Piero della Francesca, dietro la flagellazione c’è un altro capolavoro assoluto;

la MADONNA DI SENIGALLIA di Piero della Francesca

La Madonna di Senigallia indossa un abito rosso, segno che è una donna di potere, ma la parola madonna qui è nell’accezione antica di signora di Senigallia.

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Madonna è Giovanna di Montefeltro, che sposa Giovanni della Rovere, il signore di Senigallia.

E’ un’opera bene augurale, perché il bambino ha la collanina di corallo, che è un portafortuna, ovvero la fortuna di portare un figlio maschio.

Proseguiamo verso la CITTA’ IDEALE

Federico aveva tre città ideali, ovvero tre immagini, di cui una è a Berlino, un’altra a Baltimora e questa era finita nella Chiesa di Santa Chiara, dove si era ritirata la moglie Battista.

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Gli studiosi sono giunti ad ipotizzare che l’autore non sia Piero della Francesca, ma Luciano Laurana, l’architetto di Federico del tempo in cui questi era conte, ovvero l’autore dello scalone, dell’appartamento di Federico e della facciata dei Torricini.

Un’altra scoperta è che sotto la città ideale vi era un’altra città ideale, quindi l’ipotesi che è stata fatta è che probabilmente Leon battista Alberti, che era stato chiamato da Sigismondo Pandolfo Malatesta Rimini per costruire il tempio malatestiano, si sposta da Rimini ed arriva ad Urbino, fa la supervisione del palazzo e ne fa un progetto, ma nessuno glielo compra. Anziché distruggerlo, lo dà a Luciano Laurana.

Vi sono diverse città ideali, ad esempio Servigliano nelle Marche, la città ideale di Clemente XIV, o Sabbioneta, Pienza, Palmanova. La città ideale è un concetto, ma nessuna è la copia dell’altra, è il concetto dell’equilibrio grazie al quale la città ideale risulta armonica e bella, è un equilibrio tra il cielo e la piazza, tra la natura, che secondo alcuni è Cagli, e l’architettura, tra i due edifici deputati al potere politico e religioso, anche la decorazione geometrica della piazza che sembra quasi che salga, se c’è una fontana da un lato, ci deve essere anche dall’altro.

Dirigiamoci verso un’altra meraviglia

LO STUDIOLO DI FEDERICO

Lo Studiolo rappresenta Federico come uomo umanista, che ama la musica, si vedono infatti strumenti musicali e due spartiti, e che ama scrivere un sonetto per la sua Battista.

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In realtà Federico aveva due studioli, anche a Gubbio, infatti, aveva uno studiolo importante intarsiato, ma questo è quello più celebre.

I 28 uomini illustri, che erano sopra la parte intarsiata, sono stati presi dal Papa e portati a Roma.

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Quando qui è stata creata la Galleria nazionale delle Marche, accade nel frattempo che 14 di questi uomini illustri vengono venduti a Parigi e 14 non venduti ritornano qui.

Chi erano i 28 uomini illustri? Erano quelli che in quel momento tra papi, filosofi, matematici, scrittori rappresentavano il concetto di una cultura a 360°.

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Il secondo che vediamo è il maestro di Federico, Vittorino Feltre, che era il maestro dei Gonzaga a Mantova ed aveva una scuola che si chiamava la Casa del gioco, pensata per fare una parte di lezione dentro, con il popolo insieme al nobile, poiché quest’ultimo ha in questo modo la possibilità di capire realmente come si vive al di fuori del palazzo e così individuare le vere necessità, e parte della lezione è fuori.

Troviamo Sisto IV, al secolo Francesco della Rovere, che lo ha fatto diventare duca ed è anche colui che ha fatto istituire la giornata di San Francesco, il 4 ottobre, perché era un francescano.

Infatti, Francesco della Rovere stava nel convento di Assisi e lo avevano fatto diventare Papa pensando di poterlo gestire, invece diventando papà, li ha gestiti tutti.

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Infondo troviamo la clessidra, a rappresentazione del tempo che si spende per la cultura, e tutto a destra abbiamo Federico con la toga.

Usciamo dalla stanza per andare verso gli alloggi.

L’APPARTAMENTO DEL DUCA

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Di notevole pregio è una porta intarsiata, in cui possiamo vedere una strada costeggiata da edifici, che ti inglobano e ti danno quell’effetto di andare verso di lei, un invito ad entrare nel salone dei grandi eventi.

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MIRACOLO DELL’OSTIA PROFANATA DI PAOLO UCCELLO

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Soffermiamoci sul Miracolo dell’Ostia Profanata di Paolo Uccello, che è una tragedia per giustificare il linciaggio dell’ebreo con la moglie ed i bambini. La storia narra che una famiglia cattolica cristiana deciderà di vendere un’ostia consacrata ad un mercante ebreo, che va a casa e la cuoce. Nel punto in cui viene cotta l’ostia, avviene il miracolo, perché esce il sangue, in quanto l’ostia rappresenta il corpo di Cristo. La signora viene impiccata ed il mercante ebreo ed i figli vengono bruciati.

Quest’opera era stata commissionata a Paolo uccello dalla Confraternita del Corpus Domini, che alla prima visione, scorge un forte carattere antisemita dell’opera e così gli viene tolta la commissione.

Sia Federico che il figlio non vollero il ghetto ad Urbino, il ghetto nasce con il Papa per circoscrivere il potere economico che gli ebrei erano riusciti a costruirsi.

Proseguiamo verso la Sala delle Veglie, di cui parla Baldassarre Castiglione, ossia colui che scrive il Cortigiano durante la sua permanenza qui per 10 anni, qui è tutto Giovanni Santi, il padre di Raffaello.

Soffermiamoci su un capolavoro di Raffaello, che era originariamente un trittico, di cui questa era la parte centrale.

Santa Caterina d’Alessandria di Raffaello Sanzio

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La vediamo in piedi sopra una ruota con gli spuntoni, la ruota non l’ha uccisa, ma ha la palma del martire, che ci dice che è morta. Massenzio chiederà che le taglino la testa e si dice che in quel momento invece di sgorgare il sangue, sgorgò il latte.

Questa immagine ha un retro, con un cerchio in cui vi è una preghiera a Maria in latino.

L’altra opera di Raffaello è LA MUTA

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La muta probabilmente è Giovanna e sembra che sotto questa Giovanna ce ne sia un’altra vestita di rosso.

Giovanna da Montefeltro aveva sposato Giovanni della Rovere, che aveva amato visceralmente. Giovanna era soprannominata “la prefettessa” ed era descritta come una donna coltissima, liberale e bella.

Quando Giovanni della Rovere muore, Raffaello la ridipinge sopra con colori scuri e labbra serrate, che le hanno fatto avere il nome di “la muta” di Raffaello.

Nelle mani, nella trasparenza del velo ritroviamo Giovanni Santi, il papà, lo sfumato è quello del Perugino, il suo maestro. Raffaello va a Città di Castello da Luca Signorelli per studiare L’arciere, poi va dal Pinturicchio e ne studia la maniera di usare l’oro, quindi collana, anelli e pizzo.

Raffaello va ovunque, osserva, assimila e crea il suo stile.

Dopo il Pinturicchio Raffaello andò a Firenze, grazie ad una lettera scritta proprio da Giovanna ed indirizzata a Pier Soderini, che governava Firenze, in cui gli dirà dell’arrivo di Raffaello Santi, il suo protetto dalle terre di Urbino, facendo notare che se gli avesse aperto e lo avesse presentato alla nobiltà, lo avrebbe considerato un favore personale.

IL SALONE DEL TRONO

Il Salone del trono è un ambiente grandioso, con i suoi 35 metri di lunghezza, 15 di larghezza e 17 di altezza.

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Era la Sala delle feste, dove si organizzavano gli eventi e l’ospite doveva capire doveva capire che Federico era diventato duca per volontà del Papa, aveva ricevuto la giarrettiera per volontà del re dell’Inghilterra, a destra abbiamo l’ermellino, di fronte c’è il leone con il libro aperto, che indica che avesse relazioni con Venezia, era capitano della Serenissima.

Non c’erano gli arazzi nella stanza, che sono ritornati solo quando Urbino è tornata sotto lo Stato pontificio

Guardando in alto, vi sono dei buchi, poiché sopra questa volta c’era un camminamento per la servitù, che attraverso questi spioncini comprendeva quando fosse il momento giusto per portare la pietanza successiva.

Scendiamo verso il Giardino Pensile, per affacciarci poi sul balconcino, in mezzo ai due Torricini.

BALCONE DEI TORRICINI

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Ai tempi di Federico il panorama che vediamo noi ovviamente non esisteva, non c’era il teatro e di fronte si vedeva Massa Trabaglia, la strada che portava ad Urbania.

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Il giardino pensile è stato fatto ripiantare con le piante esistenti al tempo di Federico, al centro vi è una fontana che in realtà è una meridiana con al centro un gnomone, ed era la maniera di scandire il tempo nel pomeriggio.

C’era un passaggio segreto che permetteva al duca Guidubaldo di andare nella camera da letto della duchessa, Elisabetta Gonzaga, senza fare tutto il percorso che attualmente si fa.

Nessuno di noi, neanche con la più fervida immaginazione, avrà mai modo di farsi un’idea di cosa fosse questo Palazzo Ducale all’epoca di Federico, tempestato di quadri, statue d’oro, arazzi, tappeti, dipinti, libri.

Scendiamo la scalinata, che era il percorso che faceva il duca con il cavallo.

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Di fronte possiamo vedere la fortezza ed è posta sulla parte rinascimentale, in quanto Urbino si adagia attualmente su due colli, ma inizialmente la città di Urbinum Mataurense si estendeva solo su un colle. Quando aumenta la popolazione, aumentano le case e quindi si uniscono i due colli nella piazza dove c’è la fontana, i quartieri si chiamano contrade.

Riguardiamo la facciata dei Torricini, chiunque venisse da fuori, doveva entrare in città da questo lato ed ammirava la famosa facciata. Qui sotto c’è la famosa lumaca, la scala attraverso cui saliva Federico, che possedeva una scuderia notevole con 25 cavalli, che non servivano per la guerra, e 300 invece atti alla guerra.

Il TEATRO RAFFAELLO SANZIO nasce nella metà dell’800, inizialmente doveva essere ad un piano con l’ingresso verso il porticato, poi girano la facciata, lo alzano e lo dedicano a Raffaello.

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Attualmente fuori del Palazzo troviamo la Cattedrale, ma quella che Federico aveva commissionato a Francesco di Giorgio Martini non esiste più.

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Partiamo dall’ingresso della cattedrale, che inizialmente era di fronte al Palazzo Ducale, proprio come la città ideale, i due edifici di fronte quello religioso quello politico, il Papa, il duca, il potere spirituale e potere politico.

Alla fine del 1700 vi sono due terremoti e crolla la cupola, anche se il resto rimane in piedi.

Viene chiamato il Valadier, che abbatte la famosa cattedrale di Francesco di Giorgio Martini, di cui per fortuna ne fece un disegno, che ci ha dato modo di vedere come fosse. La gira di 90° che fa sì che l’ingresso non sia più di fronte a quello della del Palazzo Ducale,

Alle spalle c’è San Crescentino, il patrono di Urbino, di fronte c’è San Francesco, l’obelisco egiziano è lì perché ad un certo punto diviene Papa Clemente XI, che di cognome fa Albani, perché l’origine era albanese ed avevano abbandonato l’Albania nel periodo del dell’oscurantismo per rifugiarsi qui, assumendo il nome del paese di origine.

L’obelisco, originale dell’Egitto, venne portato dal Papa da Roma.

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Una parte degli Albani va a Roma e da costoro sale al soglio pontificio Clemente XI,
e qui il suo parente diventa cardinale e ritornano i soldi, tanto da sistemare San Francesco, San Domenico, Sant’Agostino ed altre strutture ecclesiastiche.

Andiamo in piazza verso la casa di Raffaello.

CASA DI RAFFAELLO

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Una targa scritta in latino recita che Raffaello visse la, e dietro la finestra c’è la stanza di Raffaello, che nacque il venerdì Santo alle tre del mattino in casa Santi.

URBINO: LA CITTA’ DI FEDERICO CHE FU PATRIA DI RAFFAELLO E CULLA DEL RINASCIMENTO

Qui c’era la bottega del papà, Giovanni Santi, che era un poeta, uno scrittore e soprattutto il primo maestro di Raffaello.

Perché da santi diventa Sanzio? Quando a Roma firmano i contratti in latino, Santi diviene Sanctio e così diventa Sanzio per il mondo intero.

La famiglia di Raffaello non è originaria di Urbino, il nonno di Raffaello quando perse la casa in una battaglia tra Malatesta e Montefeltro, pensò bene di ritirarsi nella capitale e comprare la casa, così da averla al sicuro.

URBINO: LA CITTA’ DI FEDERICO CHE FU PATRIA DI RAFFAELLO E CULLA DEL RINASCIMENTO

Il padre muore quando Raffaello ha 11 anni e gli lascia in eredità la bottega, la casa diventerà una proprietà privata e verrà acquistata dall’Accademia Raffaello, che però non aveva tutti soldi per l’acquisto, così l’inglese Maurice Moore, appassionato di Raffaello, si offre di mettere i restanti soldi a patto che l’Accademia lo avesse fatto dormire almeno una notte dell’arco dell’anno.

In seguito, l’Accademia si sposta e questa casa diventa un museo a tutti gli effetti.

Ritornando a Raffaello, ricordiamo che Giovanna aveva scritto la lettera a Pier Soderini e che Raffaello era andato a Firenze. Poi c’è l’endorsement di Bramante di Casteldurante, che dirà al Papa Giulio II che se anche fosse stato vero che Michelangelo non avrebbe terminato i lavori, come aveva minacciato, non si sarebbe dovuto preoccupare, poiché avrebbe potuto chiamare il suo conterraneo Raffaello Santi delle terre di Urbino.

Così Raffaello andò a Roma e lavorò per i grandi papi ed anche l’amore, un giorno alzò lo sguardo e trovò la Fornarina affacciata alla finestra e se ne innamorò.

La Fornarina gli resterà accanto fino alla morte e nel suo testamento Raffaello  le lascerà 100 dei suoi disegni così da poterle garantire il tenore di vita avuto fino a quel momento.

Raffaello era amico sia di Baldassarre Castiglione che di Pietro Bembo, quest’ultimo scriverà l’epitaffio per Raffaello al Pantheon in cui si legge “quando Raffaello era in vita, la natura temeva di essere superata, ma quando Raffaello morì, la natura era altrettanto preoccupata, questa volta di essere dimenticata”.

Questa era la potenza di Raffaello, l’uomo giusto al posto giusto al momento giusto,
Vasari scriverà “morì il giorno del venerdì Santo, il cielo si oscurò ed arrivò la tempesta”.

Il Vasari racconta che morì all’età di 33 anni, anche se ne aveva 37, ma tutto ciò serviva ad enfatizzare che il divin pittore se ne stava andando,

Secondo il Vasari Raffaello morì di febbre d’amore, secondo altri morì avvelenato e forse non è vero che ci fosse grande sintonia tra Raffaello e Leone X, poiché quando Raffaello comincia a star male già da alcuni giorni, il Papa gli mandò il dottore soli due giorni prima della morte.

Federico da Montefeltro e Raffaello Sanzio sono senza dubbio i due personaggi più illustri di Urbino e se Federico è colui che fa di Urbino la capitale e del palazzo ducale la culla del Rinascimento, Raffaello è lo strumento attraverso cui quel mondo straordinario che si sviluppa all’interno del palazzo va fuori.

Un giorno ad Urbino è un salto nel Rinascimento italiano, dove il Palazzo viene concepito come una corte, che ospitava tutti e dove il matematico non era un eretico, il filosofo poteva dire ciò che voleva, il compositore fare una musica profana, il tutto grazie alla figura di un grande uomo, Federico da Montefeltro, e della straordinaria consorte, Battista Sforza.

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