Uluru/Ayers Rock è l’icona dell’Australia, è la montagna sacra per gli Aborigeni ed il monolite più grande del mondo.
Uluru per me è un viaggio straordinario nell’infinita grandezza della natura, è un emozione inenarrabile ad ogni passo percorso, un ricordo indelebile, un sogno che si è realizzato.
E’ sempre stato in cima alla mia lista personale delle destinazioni preferite, da vedere almeno una volta nella vita. Non poteva però avvenire in un modo qualunque, no! Così, ho iniziato a pensare al modo più spettacolare per vivere questo sogno.
Ricercando sul web australiano, mi imbatto in diversi siti che propongono un’esperienza unica in campeggio, sotto le stelle più luminose che tu abbia mai visto. Un viaggio nell’Australia autentica, come gli antichi esploratori.
Scrivo ad un indirizzo mail, che è già un programma, lost in Australia, persi in Australia, ma sì! Voglio perdermi anch’io in questo luogo sacro e magari ritrovarmi!
Mi ha risposto velocemente un consulente di viaggi, che mi propone un’esperienza di 3 giorni intensi a bordo di un piccolo autobus, da condividere con circa 20 persone, ed un sacco a pelo da pagare in loco 20$, poiché, mi scrive, la temperatura di notte cala sotto zero e si dorme sotto le stelle senza tenda! Il resto è tutto da scrivere al momento.
Considero ogni viaggio terapeutico, mi mette davanti alle mie paure, che puntualmente ignoro e sono costretta a fronteggiarle. Io e gli insetti, ragni di ogni specie, topi di dimensione varia ed animali sconosciuti, non siamo in perfetta sintonia. Le mie urla le hanno sentite in tutti i continenti. Come al solito però, la mia mente ha totalmente azzerato il fattore paura, ha acceso la modalità “coraggio” ed ha schiacciato il tasto “prenota”!
Uluru/Ayers Rock si trova nel Northern Territory, anche chiamato Red Centre dell’Australia, dato il colore della terra. E’ un posto realmente remoto, dista 3 ore e mezza di aereo da Sydney, sorvolando l’Outback australiano, ovvero il nulla più assoluto da un incredibile colore rosso-arancio.
Prendo l’aereo della Jetstar, che parte alle 10.30 da Sydney per atterrare alle 12.30 al Connelian Airport, l’aeroporto di Uluru. Il volo è uno spettacolo.
All’arrivo c’è la guida, un bel ragazzo biondo australiano, in pantaloncini, maglietta e cappello a falda. Per me lui è e rimarrà il mio Crocodile Dundee, uguale!
Ovviamente, la mia è la valigia più grande di tutte, nonché la più visibile, è rosa! Crocodile Dundee mi chiede esterrefatto cosa ci sia dentro ed io: “giusto due cose per star qui un mese!”. Per l’amor del vero, avrei potuto starci un anno! Avrei voluto aggiungere che per ogni italiano la valigia è l’essenza stessa del viaggio, dovessi dimenticarti gli occhiali o le scarpe di ultima tendenza, non sia mai! Se solo avesse saputo che l’avevo già ridotta! Il suo commento a denti stretti è stato “Italians!”
Il mio consiglio per un’esperienza di campeggio è quello di preparare uno zainetto con l’essenziale per quei giorni.
Io ci sono andata ad agosto, in pieno inverno australe. Ad Ayers Rock c’è una fortissima escursione termica. Il lato positivo di andare lì in pieno inverno è il numero leggermente ridotto di turisti e la possibilità di fare escursioni durante tutta la giornata. Ci sono cartelli ovunque di chiusura del Parco di Uluru-Kata Tjuta e del Parco del Watarrka con il Kings Canyon alle 11 del mattino, in caso di temperature oltre i 36°, che si raggiungono facilmente durante l’estate australe. Solo Uluru non chiude!
Nello zainetto ho messo: due cambi, un bel pile invernale e shirts a maniche corte, cappello di lana e quello a falda larga per il sole, una torcia da portare in testa, di enorme utilità al calar della notte. Ed ancora ho portato un giaccone North Face, pochi prodotti da bagno, crema solare protezione 50 ed occhiali da sole, poiché il sole di giorno nel deserto può bruciare la pelle, bottiglie di acqua e poche altre cose.
All’arrivo alle 12.30 la temperatura è di 26 gradi, maniche corte, pantaloni leggeri, scarpe da trekking, cappello ed occhiali da sole, non riesco neanche a figurarmi quanto freddo possa fare con il calar del sole.
Comincia il viaggio verso l’Australia autentica, il PARCO NAZIONALE DI ULURU-KATA TJUTA, uno dei pochi territori sulla terra in cui la mano dell’uomo non ha modificato tutto.
E’ qui che avviene il mio primo contatto con gli Aborigeni australiani. Capelli ricci e biondi su una pelle scura, a volte con incredibili occhi azzurri, sono il mio immaginario di Australia non colonizzata.
ULURU/AYERS ROCK
Patrimonio dell’Unesco, Uluru/Ayers Rock è la montagna sacra degli Aborigeni Anangu, che custodiscono queste terre da tempi immemorabili, circa 10.000 anni. Vivono secondo le regole della Tjukurpa, la Legge Sacra alla base della società, che viene tramandata di padre in figlio. Essa è considerata la base delle relazioni tra le persone, il territorio e gli animali. Parlano una propria lingua che insegnano alle future generazioni.
Uluru è il nome aborigeno, pare che nella lingua locale sia solo un nome e non ricopra un particolare significato.
Il nome Ayers Rock deriva dagli esploratori, Giles e Gosse, che nel 1872 arrivarono per primi in questo territorio. Gosse gli diede questo nome in onore di Sir Henry Ayers, il segretario di Stato dell’Australia del Sud.
Nel 1920 il Parco Nazionale di Ulru-Kata Tjuta è stato dichiarato riserva aborigena. Una legge del 1985 conferisce la proprietà agli Aborigeni, ma con un lease, ossia un contratto di affitto, di 99 anni.
Alla vista del monolite australiano, così grande, mi si ferma il cuore, maestoso ed imponente, un’emozione pazzesca. Non ci posso ancora credere, ho messo piede ad Ayers Rock, finalmente mi sento in Australia!
Crocodile Dundee ci porta all’ingresso del parco Uluru-Kata Tjuta, ci fa scendere e ci invita a fare il periplo di Uluru. Ci chiede di non scalare la montagna, poiché per gli aborigeni è sacra e lo è anche per me. Sì, si può scalare, ma è pericoloso e non sarà quel selfie a cambiarci la vita.
Comincia una passeggiata, quasi in solitaria, di 3 ore e mezza, tra me e questo spettacolo della natura, questa roccia rossa, che deve il suo colore all’ossidazione del ferro e che cambia al mutar del sole.
Ad ogni passo avverto un senso di quiete e di benessere, un silenzio che ti fa udire il vento, è uno stato di pace surreale.
Mi aggiro tra queste formazioni rocciose, ci trovi fonti di acqua e segni lasciati dalle piogge, che creano delle vere e proprie cascate.
Ci sono cave in cui generazioni di uomini, attraverso i disegni, hanno insegnato ai Nyiinka, i ragazzi della campagna, l’arte del cacciare, l’indipendenza e la disciplina. Per apprendere ciò, questi Nyiinka vengono separati dalle loro famiglie e mi hanno riportato alla mente le storie dei giovani Masai in Africa, i quali da adolescenti vengono mandati da soli nella Savana ad imparare l’arte della caccia al leone. In due zone diametralmente opposte, questi popoli fanno le stesse scelte per far “diventare uomini” i loro figli.
Finito il giro, la guida ci porta al Cultural Centre, in cui si può avere un assaggio della cultura aborigena, nonché vederli.
Infine ci dirigiamo in uno dei SUNSET POINT, TALINGURU NYAKUNYTJAKU, per assistere allo spettacolo del sole che cala e lascia spazio alla luna, qui ovviamente scatto una foto una dopo l’altra. Uluru che si dipinge dei colori crepuscolari è uno spettacolo imperdibile.
Parte qui l’altra avventura alla ricerca del monolite austriano: andare nel CAMPEGGIO per la cena e per capire che fine faremo per la notte.
Cala un freddo pazzesco, scendiamo ad un grado e sono solo 19! Ho il pile, il giaccone North Face ed il mio cappello di lana, ma non bastano, mi sarei messa un montone addosso e qualche coperta!
Ovviamente Crocodile Dundee fa lo splendido, rimane con i pantaloncini e la maglietta a maniche corte. Va bene che sei figo, ma in quale latitudine ti credi di essere? Io come Totò e Peppino a Milano e lui come Russel Crowe in Il Gladiatore! Non ce la posso fare!
Arriva il meglio. Realizzo dove passerò le ore notturne, aiuto! Non ci sono veramente tende per dormire!
Questo campeggio è fornito di uno spazio chiuso con bagni e docce, in cui ci fai la fila e ti congeli, date le temperature. C’è un capanno semi aperto, che serve per poggiare le nostre cose e per quelle della cucina. C’è un lavandino in cui ognuno di noi laverà i propri piatti. Eh sì! Si cucina e si pulisce, è un fai da te!
Crocodile Dundee accende il fuoco che ci servirà per cucinare e per tenerci caldi fino al momento di infilarci nei nostri sacchi a pelo, che sono posti direttamente sulla terra rossa intorno al fuoco. Capito bene! Siamo all’addiaccio, la temperatura è già arrivata sotto zero e noi dormiamo a terra.
Il suo piano è preparare il riso, le patate ed il chili con carne. Mi dice: “tu sei italiana, scommetto che sai cucinare!”. Avrei voluto dire: “sì, ma non lo dire a nessuno”, invece io: “hai bisogno di aiuto?”. Che domanda inutile, ero già alle prese con il pentolone gigante sul fuoco vivissimo, che per mescolarlo ci mancava poco che mi bruciassi la mano come Muzio Scevola!
Comunque, sarà stata la stanchezza, la fame, il freddo, ma Crocodile Dundee ha fatto una cena squisita.
Intorno al fuoco, l’atmosfera si fa intima e confidenziale. A turno cominciamo a parlare ed a raccontarci. La mia storia di italiana tra Gran Bretagna ed Italia, che in Europa sembrava a tutti una cosa pazzesca, viene notevolmente ridimensionata da me.
Chi sceglie il campeggio non lo fa per una questione economica, almeno non solo per questo, ma è animato da una buona dose di spirito di avventura, di curiosità e di amore verso la natura.
Per molti dei miei compagni di viaggio, Ayers Rock è una tappa di un lungo tour dell’Australia. Una coppia di tedeschi racconta di aver lasciato il loro lavoro per cominciare questa avventura di 3 mesi in Australia, in lungo ed in largo.
I coccodrilli sono il primo racconto, proprio come noi altri discuteremmo sul dove fare l’aperitivo o su quale serie Netflix scegliere!
I due tedeschi ci raccontano che mentre erano nel nord dell’Australia, pensano bene di andarsi a fare il bagno nel mare e di colpo vedono saltare un coccodrillo dall’acqua come un siluro. Credo che abbiano vinto i campionati mondiali di nuoto per la velocità con cui sono tornati a riva. Terrificante!
Ovviamente, non basta! C’è anche chi giura di aver visto un ragno gigante, del tipo un essere non identificato che occupava un bel pezzo di parete. Anche qui non so dove finisca la leggenda ed inizi la realtà, so solo che mi guardo attorno, sopra e sotto. Ho ancora vivo il ricordo in Kenya dei miei piedi circondati dagli scorpioni e del serpente sotto la doccia! Agghiacciante!
Come se non fossero abbastanza i coccodrilli ed il ragno gigantesco, arriviamo alle meduse killer. Una ragazza esordisce: “tanto se non ti uccidono loro, ci pensano gli squali!”. Inquietante come vedere un film horror a mezzanotte!
Crocodile Dundee ci dice che è meglio riposare, la levataccia è in piena notte. Chiude dicendo “non ho bisogno di dirvelo io quali animali, serpenti, topi, ragni ed altro, ci siano qui di notte”.
È qui che volevo arrivare! Infatti, non ha bisogno di dirlo lui, c’è prontamente un altro che nomina un pitone di due metri e mezzo, un opossum, che vi garantisco è un topo gigante. A confronto il dingo mi è parso un animale innocente.
Mi infilo nel sacco a pelo, che poggia direttamente a terra. Fa un freddo allucinante, non ho neanche i guanti ed il fuoco si va spegnendo.
La mia mente mi vede già stritolata da un serpente o attaccata da qualche topo grosso come un tacchino, così chiudo totalmente il sacco a pelo e rimango con la mia claustrofobia.
Mi addormento senza sapere come e quando, ma mi risveglio in piena notte. La mano destra è paralizzata dal freddo, le dita scrocchiano. Scaldo la mano con l’alito, ma serve a poco.
Sento dei rumori, panico! Avverto dei passi, qualcosa che striscia, non lo so! Uno di noi dice “c’è un dingo!”. Passano i minuti, ma il tempo sembra essersi fermato. Mi ripeto sempre “Passerà la nottata!” . Mi sembra di essere tornata nella savana in Kenya, la notte è interminabile ed è solo la prima!
Quando Crocodile Dundee ci dà la sveglia, è ancora notte fonda e mi sento felice di alzarmi, vorrei correre da lui e dirgli “fatti abbracciare!”, peccato che mi faccia malissimo tutto e che io abbia la lentezza di un bradipo!
I bagni sono quelli che sono e gli scarafaggi gironzolano tranquillamente! Sotto zero la voglia di fare la doccia deve proprio saltarmi addosso!
Partiamo per vedere l’alba al SUNRISE POINT TALINGURU NYAKUNYTJAKU. Un’altra memorabile visione di Ayers Rock, il monolite australiano, che al sorgere del sole si erge scurissimo, la luce lo avvolge alle spalle. Vedere il monte che cambia colore ti ripaga della notte insonne.
La colazione è mitica ed avviene di fronte ad Uluru, al crepuscolo. Con una specie di fornetto a forma di cono tostiamo le fette di pane, su cui a catena mettiamo il burro e la marmellata. Croc ci prepara il caffè, il latte, il tè. Con quel freddo, mi sembra la colazione dell’Hilton, fantastica!
Lasciamo Uluru, ma rimarrà sempre nei miei ricordi più belli in assoluto. Si riparte per una nuova escursione.
KATA TJUTA/ THE OLGAS
Kata Tjuta è un sito sacro, dista 40 km da Uluru e fa parte del Parco Nazionale.
The Olgas deriva il suo nome dall’esploratore Giles, che diede al picco più alto, 545 metri, il nome della regina Olga di Wuttemberg.
Kata Tjuta è il nome aborigeno e significa “molte teste”. E’ dovuto alla presenza di 36 picchi rocciosi.
Il percorso più bello è quello della VALLEY OF THE WINDS, ovvero la VALLE DEI VENTI. E’ lungo 7 km e mezzo, occorrono ore per percorrerlo e ci sono punti piuttosto difficili, ma il panorama tra i picchi rocciosi è incredibile.
Nella WALPA GORGE, ovvero la GOLA DI WALPA, ci sono piante ed animali, poiché attraverso la gola vi passano i venti, infatti Walpa nella lingua aborigena vuol dire vento. Anche qui c’è un bel percorso, più breve del precedente.
Si riparte per il nuovo campeggio, vicini alla successiva tappa: il PARCO NAZIONALE DEL WATARRKA.
Questo secondo campeggio offre la possibilità di dormire nelle tende ed io ne ho approfittato. Il resto delle condizioni è uguale al precedente campeggio, bagni minimal, al freddo e con scarafaggi. La cucina ha sempre uno spazio semi-aperto e si cuoce il cibo sul fuoco appiccato sul terreno.
Anche qui non riesco a dormire molto, si sente ogni tipo di rumore, ma almeno ho un tetto sulla testa.
La mattina ci si sveglia prima dell’alba, verso le 5, si prepara colazione, si pulisce e si riparte con i nostri bagagli verso il Kings Canyon.
KINGS CANYON – WATARRKA NATIONAL PARK
Il Kings Canyon fa parte del Watarrka National Park, che in lingua locale vuol dire acacia ligulata, la tipica vegetazione presente nel parco.
Al parco si deve arrivare necessariamente prima dell’alba per arrivare alla cima e godere una visuale impareggiabile.
Ci sono dei percorsi da seguire, ne prendo uno ed ammetto che la scelta non ha avuto una gran logica. Di sicuro, non era il percorso più veloce. Si parte insieme, ma complice la mia passione per le foto, mi perdo tutti e restiamo in due.
Cominciano salite irte tra i canyon, che fanno un baffo alle lezioni di step, tra sentieri stretti e scoscesi! Arrivare ad una delle cime e vedere le aquile volare sopra la mia testa non ha prezzo! E’ straordinariamente bello, rimarrei lì a contemplare il paesaggio, non voglio tornare nella civiltà, voglio vivere quella pace.
Il giro finisce con l’incontro con il resto del gruppo, sono passate ore tra una natura selvaggia e le mie solite paure, ma questa volta le ho vinte!
Si riparte per Alice Springs, ci vogliono ore di viaggio per raggiungere la località ed arriviamo nel pomeriggio inoltrato.
Alice Springs non ha nulla di appassionante, già mi mancano Uluru ed i Canyons, ma ammetto che la prospettiva di un letto e di una doccia come si deve mi alletta.
Finisce la parte più incredibile del mio viaggio in Australia da un punto di vista paesaggistico e di emozioni provate.
Si sa che tutto finisce e che ricomincia una prossima avventura, la mia è Adelaide e Kangaroo Island.