Racconti di un viaggio indimenticabile
Hai mai dormito in tenda nella savana, circondato dagli animali più incredibili che esistono sulla terra?
Io non lo avevo neanche mai sognato, finché dalla mia casa a Londra, in una delle giornate più grigie mai viste, ho immaginato il blu dei cieli dell’Africa ed ho prenotato.
Non ho avuto la fortuna di nascere con il tablet in mano, con Google per avere informazioni ed Instagram per sognare con le foto. Da bambina avevo una tavolozza con tutti gli animali ed i miei preferiti erano il pinguino, o come lo chiamavo io “quello in frac”, ed il leone, ovvero “quello dai bei capelli”. Quando indicavo il leone, mi dicevano che era il “Re della Savana”. Ma cos’era questa savana? Mi rispondevano che era un posto dove tutti gli animali erano liberi, insomma una specie di paradiso terrestre degli animali con tanto di “re e sudditi”.
Si diventa grandi ed i sogni fanno i conti con le proprie paure e le mie sono tante e consistenti, ma non così grandi da fermarmi.
Parto da Londra alla volta di Roma per raggiungere il mio fidanzato e prendere un volo charter per Mombasa. Abbiamo prenotato un resort vicino Malindi, sulla costa, a Watamu.
All’arrivo all’aeroporto, troviamo un uomo ad attenderci con il nostro nome. Nella mail prima della partenza, ci hanno detto che il viaggio dall’aeroporto al resort dura circa un’ora e mezza.
Viaggiamo a bordo di una Jeep aperta, rumorosa e senza conforto. Ci inoltriamo nella foresta, sotto un cielo che minaccia pioggia e dalla strada arriva polvere che ti entra nelle narici.
Guardo l’orologio e noto che sono passate un’ora e mezza ed ancora non si vede nulla della destinazione. Provo a chiedere all’autista, ma non mi risponde. Non avrà capito? Non avrà sentito? Non lo so!
Qui arriva uno dei momenti più terrificanti in assoluto del viaggio.
L’autista devia verso una strada sterrata, si vede solo il verde della foresta e qualche animale. Non dice nulla e rallenta, c’è solo una baracca e nulla di più.
Noi ci siamo guardati e ci siamo detti “scappiamo uno da un lato e l’una dall’altra, ci stanno per rapire”. La Jeep rallenta e si ferma vicino alla baracca.
L’autista scende e se ne va, silenzio assoluto terrificante. Un lungo brivido di freddo con oltre 30 gradi mi percorre la schiena, le parole si fermano in gola ed i pensieri si affollano nella mente. Penso che non ho salutato mia madre, penso che non voglio morire in Kenya nel mezzo del nulla, torturata dagli indigeni.
Decidiamo di attendere per vedere che cosa succede. L’alternativa è scappare più lontano che si può, ma dove?
Non abbiamo neanche la benché minima idea di dove ci troviamo, se ci sia un villaggio, qualcuno disposto ad aiutarci o pronto ad ammazzarci per i soldi che portiamo dietro. Sono minuti interminabili.
Ritorna l’autista e qui mi sento piccola piccola ed abbastanza stupida. Se ne arriva con due bottigliette di coca-cola per noi. Ha pensato che dopo un’ora e mezza in quel caldo soffocante avessimo necessità di bere qualcosa. Ci dice che deve fare benzina e ci chiede se vogliamo andare in bagno.
Pericolo scampato! Me la sono vista brutta…nella mia mente!
Dopo più di tre ore di viaggio, arriviamo al resort, la cui proprietaria è un’italiana.
Diamo all’autista una mancia di 10 €, riteniamo che dopo tutte quelle ore e la coca cola offerta, se le meriti!
Subito la proprietaria mi dice: come ti è venuto in mente di dare quella cifra? Per quella somma ti uccidono! Insomma, durante il viaggio non eravamo andati così lontani nel pensare che avrebbero potuto farci fuori per nulla!
Scopriamo che siamo solo in cinque: noi, un’altra coppia ed una ragazza francese, che parla un italiano con spiccato accento siciliano e ci dice che il suo sogno è vedere “u lione”.
La proprietaria è una giovane donna, che per anni ha fatto la guida in Africa e se n’è innamorata. Gestisce lei il resort, assistita dai locali, che le fanno tutto.
Quando in un posto così povero, vai un resort con i confort, ti senti un po’ come i colonizzatori del secolo scorso. Ormai siamo quelli della mancia consistente, ci servono e riveriscono.
Il resort è una struttura in legno, la stanza è ampia ed ha un letto sormontato da un baldacchino, da cui viene giù una tenda trasparente, contro gli insetti e le zanzare.
Ci viene subito detto di non sprecare acqua, siamo in Africa e scarseggia.
Ogni giorno andiamo a ricomprare lo shampoo ed il bagnoschiuma, miracolosamente scompare e noi religiosamente lo ricompriamo. Considerato che costa 2,5 euro, ossia uno stipendio giornaliero, capisco la necessità di prenderlo! Lascio fare!
La piscina è il luogo dove noi cinque facciamo amicizia, qui ci vengono serviti tè e biscotti, mentre siamo immersi nell’acqua. Notiamo però che nei biscotti ci sono dei pezzetti neri, li apriamo e capiamo che sono formiche. Sarà la loro versione dei biscotti proteici, che nel mondo occidentale vanno tanto di moda?
SPIAGGIA DI WATAMU
Watamu nella lingua locale significa “gente dolce”.
E’ nota agli italiani per la presenza della famosa casa di Briatore, divenuta poi lussuosissimo resort.
Fa parte della Riserva marina di Malindi e Watamu, il mare è da favola. E’ soggetto alla bassa marea, che fa emergere tutta una serie di atolli.
A bordo di una barchetta, un ragazzo locale ci porta su un atollo. Che fatica deve fare questo ragazzo smilzo a trasportare noi 5 adulti! Lungo il tragitto, ci sono stelle marine, rosse e grandissime, e pesci che sguazzano liberamente in quel mare trasparente.
Sull’atollo siamo solo noi su una distesa di sabbia bianchissima, circondata da un mare turchese, che si confonde con il cielo. E’ così surreale che giochiamo a fare le foto tipo calendario, con pose diverse ogni mese.
Arriva una tipica imbarcazione locale, azzurra con una tettoia. Hanno appena pescato le aragoste. Su queste imbarcazioni si mangia direttamente sull’atollo.
Immagina di stare in mezzo al mare, tu ed il nulla, a mangiare un’aragosta intera, freschissima, ed altri pesci.
Immagina di sentire il suono del mare e lo scoppiettio della brace, che i locali hanno messo sulla spiaggia per cuocere il pesce.
Dimmi se questo non è il paradiso!
La spiaggia di Watamu è strettamente controllata dalla polizia locale, che ne garantisce la sicurezza. Abbiamo visto la nostra giovane guida prelevata a forza e ne siamo rimasti senza parole. Abbiamo poi spiegato che era con noi e lo hanno rilasciato.
Intorno a Watamu e Malindi, ci sono località poverissime, con baracche fatiscenti in cui i locali gestiscono le loro attività. Ricordo una via centrale con un mercato all’aperto, in cui le signore sono sedute per terra, intente a pulire le verdure, ed i bambini scalzi corrono tra questi banchi della frutta e verdura.
L’Africa non ha solo magnifiche spiagge ed una natura incontaminata, ha soprattutto una povertà sconcertante. Ricorderò sempre quelle scuole con centinaia di bambini in grembiule azzurro e piedi scalzi a giocare nel cortile.
Al passare della Jeep, i bambini corrono più forte che possono, gridano “Jambo! Jambo”, che in lingua Swahili vuol dire “ciao”, ti tendono la mano in cerca di qualcosa. Li rende felici qualsiasi cosa, anche la più stupida ed insignificante per noi, per loro sarà un regalo del cielo! Di solito, prima di partire per l’Africa subsahariana, ci si porta dietro magliette, penne, quaderni. Tutto è utile.
E’ una popolazione fiera ed orgogliosa delle sue tradizioni, ciò che li caratterizza è il sorriso con cui ti accolgono.
SAFARI NEL PARCO NAZIONALE DELLO TSAVO EAST
Il safari è quell’esperienza nella vita che ci riporta tutti bambini, a guardare il mondo con occhi incantati, come se fosse ancora da scoprire, come se la modernità non ci avesse toccati, come se tutto avesse un altro senso.
Lo Tsavo è il più grande parco nazionale naturale del Kenya, circa 22.000 km quadrati, ed è suddiviso in Ovest ed Est dalla ferrovia e dalla strada che da Nairobi conduce a Mombasa.
Nello Tsavo non ci vai da solo, non è il Parco di Yellowstone in cui organizzi il tuo viaggio e speri di vedere Yogi e Bubu.
Nello Tsavo ci sono i cosiddetti Big 5, ossia i leoni, leopardi, elefanti, bufali e rinoceronti.
Hai bisogno della guida locale, che ti porti nei posti leciti, a tua salvaguardia.
E’ il regno degli animali, non il nostro!
La proprietaria del resort ci organizza con un’agenzia locale il tour di 2 giorni nel Parco Nazionale dello Tsavo East e ci chiede se la notte vogliamo trascorrerla nel lodge o nella tenda. Tutti gridiamo: “nella tenda!”. Ma quanta incoscienza c’è nei viaggi? Nessuno di noi 5 ha la più pallida idea di cosa si stia parlando!
Ci vengono a prendere in piena notte, verso le 2. Occorrono ore interminabili di viaggio a bordo di questo van per giungere a destinazione. Siamo come sempre noi 5!
Arriviamo la mattina nel Parco. E’ un’incredibile distesa pianeggiante di terra rossa, intervallata da alberi e pozze d’acqua. Sopra c’è un cielo incredibilmente blu.
L’autista si ferma ed indica un ghepardo su una specie di montagnella, è lì placido. Faccio fatica a pensare che sia un animale che va a 100 km all’ora per cacciare l’antilope.
Ovviamente è molto distante, devi usare un binocolo ed una macchina fotografica super specializzata.
Dopo poco, avvista il leopardo, uno dei Big 5! Beh, è imponente, non ha lo sprint del ghepardo, ma si arrampica bene e va anche in acqua. Io non lo farei arrabbiare!
Un branco di elefanti attraversano la strada, uno piccolino rimane indietro e subito la mamma lo riprende. Li vedi bagnarsi in quelle pozze fangose, sono bellissimi.
Ci fermiamo lungo il fiume Galana, che attraversa il parco e qui vediamo i coccodrilli, la guida mi dice “fatti una foto vicino al coccodrillo”. Non ci penso proprio! Faccio la foto al coccodrillo.
Il van, che ci trasporta, ha la cappotta aperta per permetterci di vedere la savana, avvistare animali e scattare foto. Su di noi in movimento, vola purtroppo di tutto e cominciano le mie paure degli insetti vari. Ad un certo punto, arriva sul mio naso come un siluro un grillo enorme. Lo stacco dal mio volto e cade sulla schiena dell’altro ragazzo e mi rendo conto che qui tutto ha dimensioni ciclopiche. Non ho mai visto un grillo così grande in vita mia! Ho dato un urlo, che lo avranno sentito anche nello Tsavo Ovest!
Ad un certo punto, la franco-sicula grida “u lione! u lione!”, ci giriamo tutti per vedere il re della savana, il leone! Che spettacolo! E’ elegante e possente come un re!
Ci sono gli struzzi, i più grandi uccelli al mondo, che non hanno denti e triturano tutto nello stomaco. Insomma, non sembrano pericolosi!
E poi l’eleganza delle giraffe, le zebre, i cerbiatti, che già prevedo abbiano vita difficile. Ma è la natura nella sua reale essenza e gli animali vivono nel loro habitat!
Verso le 4 del pomeriggio, arriviamo nel campo dove sono le tende per trascorrere la notte.
Ci assegnano una tenda, che ha due letti, un gabinetto, un piatto doccia, un lavandino. Ci dicono che bisogna chiudere benissimo la tenda. A sera non bisogna lasciare luci accese, attirano gli animali dalla savana. C’è infatti solo la candela per breve uso.
Mai e poi mai uscire dalla tenda con il buio! Categoricamente proibito.
In caso di necessità, la parola d’ordine è Masai!
Detto così, fa sorridere ed anch’io ho sorriso.
Entriamo ognuno nelle proprie tende. Dopo ore di viaggio, sotto un sole battente, in una terra arida, sono sudata, mi sento appiccicosa e tutta di color rosso terra della savana. Il desiderio più grande è quello di fare una doccia.
Finalmente nella tenda, ma c’è un caldo insopportabile all’interno.
Scosto le lenzuola dal mio letto e vedo una lucertola. Lo ricopro! Vabbè! Tutto andrà a meraviglia dopo una bella doccia. Penso!
Vado prima nel gabinetto e noto due ranocchiette che mi guardano dall’acqua del water! Con che coraggio usarlo?
Ok! Andiamo sotto la doccia! Come poggio il piede sul piatto della doccia, si solleva ed esce un serpente piccolo!
Ricapitolando: la lucertola nel letto, le ranocchiette nel water e dulcis in fundo il serpente sotto la doccia! Non ce la posso fare!
Esco come una furia dalla tenda, seguita dal mio fidanzato, che mi chiede cosa stia succedendo ed io “me ne vado!”.
Passo tra le altre tende, gli italiani del mio gruppo vedono la mia faccia pietrificata e mi chiedono “che succede?”, gli stranieri mi fissano attoniti e dicono anche loro “what’s wrong?”. Cominciano a seguirmi, si fa uno stuolo di persone dietro di me.
Arrivo dal Masai! Del resto mi hanno detto che per qualsiasi cosa, devo gridare Masai!
Il Masai è altissimo, slanciato, con la shuka, ossia la sua tunica rossa, e la lancia in mano.
Respiro profondamente e cerco di far fuoriuscire la parte zen che è in me. Purtroppo è ben nascosta! Chiedo al Masai di voler andare nel Lodge in muratura, gli spiego cosa ho trovato nella tenda e gli dico che nessuno mi aveva spiegato che tipo di alloggio avrei trovato. Con più miti parole, dico che ho paura dei serpenti ed averlo visto “dal vivo”, sotto il mio piede, mi ha terrorizzata.
Il Masai mi dice con fare imperioso che la savana chiude alle 16.30, praticamente è già chiusa. Non è possibile andare al lodge, né da qualsiasi altra parte. Ovviamente non ci sono altre tende. E mi dice: “Se hai bisogno, grida Masai!”. Ed io: “se ci sentiamo male?”. Lui risponde: “Donna, zitta! Il primo ospedale è a 120km. Passeremo la voce attraverso la savana”.
Aiuto! Ho capito bene? Donna, zitta! Ospedale a 120 km e tam-tam come telefono. Non so se mi sia partito il “nervo”, “l’embolo”, calato il velo sopra gli occhi, non lo so!
Gli ho detto “Sei un primitivo!” Che però mi ha chiesto 250 euro per un tour di 2 giorni! Cosa facciamo, nell’era di internet e dei cellulari comunichiamo a segnali di fumo e parola d’ordine Masai? Se mi sentissi male, dovrei pregare per un miracolo?
Il Masai china la testa in avanti e le spalle in dentro.
Mi calmo, gli chiedo scusa e me ne vado, incredibilmente tra l’applauso dei presenti!
Ha da passà ‘a nuttata! Diceva il grandissimo Eduardo De Filippo in Napoli Milionaria! Passerà pure per me.
Arriva la cena, pollo fritto e verdure! Fa buio presto e si vede un cielo stellato sopra di noi.
Ci si raccoglie intorno al fuoco, seduti in cerchio su dei bassi tronchi, per ascoltare le storie Masai. Non vedo l’ora! Mi affascinano i racconti di vita vera.
I Masai sono dei pastori, dediti anche all’agricoltura. Parlano la lingua Maa e sono divisi in clan.
Essendo allevatori, più bovini hanno e più sono potenti. Il bestiame è la merce di scambio ed è anche la dote delle mogli.
Le case sono piccole e basse, alte 1,5 metri, che già di per sé sembra incredibile, se poi consideriamo la loro altezza è irreale! Il territorio è recintato. Appena si varca la soglia, la prima casa è quella dell’uomo. il capo famiglia, poi c’è quella della prima moglie, sulla sinistra quella della seconda e così via.
Gli uomini Masai possono avere più donne, mentre le donne Masai un solo marito. L’infedeltà della donna è molto grave!
Ci dice il Masai che a differenza di noi donne occidentali, le donne Masai non sono gelose. Sono tutte amiche tra di loro, delle sorelle che si condividono pacificamente il marito. Fanno tutto insieme, cucinano, puliscono, prendono l’acqua, mungono le vacche. Si riuniscono per decidere d’amore e d’accordo il marito da chi debba dormire ogni sera. Lui lo capisce da un bastone lasciato fuori dell’abitazione.
Ovviamente, la donna incinta non viene più avvicinata per tutto il periodo della gravidanza.
I figli appartengono al marito, a cui spetta anche il diritto di dargli un nome. I maschi vengono sottoposti alla circoncisione, a crudo, senza anestesia e dopo aver passato la notte al freddo nudi. Dopo la circoncisione, diventano Moran, dei guerrieri. Si vestono di nero e dipingono la faccia con segni bianchi. Dai 14 ai 16 anni vengono mandati nella savana per andare a caccia dei leoni e diventare dei veri guerrieri. Devono tornare vittoriosi con la testa del leone, poiché i leoni mangiano il bestiame e sono un pericolo.
Mentre il Masai racconta le sue storie, abbasso lo sguardo e vedo che sono circondata dagli scorpioni.
Chiedo al Masai di accompagnarmi nella tenda, anch’essa è piena di scorpioni.
Passo la notte sveglia, non riesco a chiudere occhio. In piena notte vedo una sagoma che spinge contro la tenda. Non so con che coraggio, ma mi avvicino alla retina della finestra per capire cosa sia. E’ un elefante che si aggira nel campo.
La mattina a colazione girano le scimmie, sono tenerissime. Si prosegue presto per il resto del parco e finire il giro, si deve ritornare in hotel e ci vogliono ore di viaggio.
E’ stata la mia prima vera esperienza nella natura selvaggia. Ho lottato con le mie paure ed è stata dura. Ho imparato però a gestirle. Continuo a fare viaggi di questo genere e non mi lamento più.
Ho salutato quella natura incontaminata ed il cielo blu per tornare nella grigia Londra. Del resto, come canta Franco Battiato: “il mondo è grigio, il mondo è blu”.