Bosco Sacro di Bomarzo: alla scoperta del più affascinante e stregato di tutti i parchi

Bosco Sacro di Bomarzo: alla scoperta del più affascinante e stregato di tutti i parchi

“Voi che pel mondo gite errando, vaghi di veder meraviglie alte et stupende, venite qua dove son faccie horrende, elefanti, leoni, orsi, orchi e draghi”.

Bosco Sacro di Bomarzo: alla scoperta del più affascinante e stregato di tutti i parchi

Questa iscrizione si trova incisa in una nicchia di pietra nel Parco delle Meraviglie, il Bosco Sacro di Bomarzo, voluto nel 1552 dal Principe Pierfrancesco, detto Vicino, Orsini, e conosciuto anche come il Parco dei Mostri.

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IL BOSCO SACRO DI BOMARZO

Siamo nella Tuscia, nel fosso della Concia in provincia di Viterbo, un sito caduto nell’oblio per secoli e, ciononostante. attrasse personaggi come Goethe e Salvador Dalì, quest’ultimo giunse dall’America appena venuto a conoscenza di questo Parco.

Vi sono immagini di repertorio che testimoniano la visita del grande pittore surrealista a Bomarzo, che da questo bosco trovò l’ispirazione per la realizzazione de “La tentazione di Sant’Antonio” e sicuramente di opere successive.

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Il Bosco Sacro viene “riscoperto” e riportato al suo antico splendore nel 1954 dalla famiglia Bettini, che ancora oggi lo cura.

Vicino Orsini affida il progetto del Parco a Pirro Ligorio, colui che sostituirà Michelangelo nella Cappella Sistina alla morte del Maestro, ma studi recenti sono propensi a riconoscere che dietro il Parco ci sia proprio la longa manus del grandissimo Michelangelo.

Bomarzo è il parco che non ti aspetti, è un percorso in un mondo onirico, dove volutamente il senso dello stupore si associa a quello del terrore.

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Viene considerato un unicum nel suo genere: non è il tipico giardino rinascimentale, con la sua compostezza classica dove ti pervade un senso di serenità, è tutt’altro!

E’ un cammino impervio, tra salite e discese, tra rocce le cui forme non smettono di meravigliare. E’ un richiamo al poema cavalleresco, dove “sacro” è “magico” ed allora non ti resta altro che lasciarti prendere da questa magia.

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Il bosco sacro è un luogo di iniziazione, è un viaggio esoterico, di cui non si comprende ancora oggi il percorso ideato dal coltissimo ed eccentrico signore di Bomarzo, che voleva stupire i suoi ospiti e così fu, tanto che anche il Papa Gregorio XIII, durante una sua visita a Viterbo, volle fermarsi a Bomarzo per ammirare questo parco stravagante e decantato ovunque.

Il Principe disse di aver voluto il Parco solo “per sfogare il cor” ed il Tempietto è dedicato alla compianta consorte, Giulia Farnese.

Sembra che il percorso che il Principe faceva fare ai suoi ospiti nel Parco non fosse quello attuale, ma partisse dal Tempietto.

La nostra via di accesso è una PORTA MERLATA recante lo stemma degli Orsini.

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Di fronte all’ingresso vi collocò le SFINGI, che nell’antica mitologia greca erano poste a guardia delle “città sacre”.

Soffermiamoci sulle iscrizioni alla base delle Sfingi, una delle due recita “Chi con ciglia inarcate et labra strette non va per questo loco manco ammira le famose del mondo moli sette”. Ciglia inarcate e labbra strette, perché chi entra qui non può che rimanere stupefatto e se non apprezza questo Parco, non lo farà neanche con le sette meraviglie del mondo.

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Incamminiamoci verso il bosco per lasciarci stupire dai GIGANTI, ovvero Ercole e Caco che lottano tra di loro.

Ercole, figlio di Zeus, muore avvelenato dalla moglie e va nell’Ade, dove Zeus lo riporta in vita e lo fa diventare una divinità.

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Caco era il figlio del Dio Vulcano ed era dedito ai furti, tanto da aver rubato ad Ercole una mandria di buoi. Ercole lo trova in una grotta e lo uccide.

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Scendendo ancora, incontriamo la TARTARUGA, che dal lato prospiciente il torrente ha una forma di prua. Viene sormontata da una statua che rappresenta la Fama. Questa figura di donna in origine aveva le ali e due trombe, che alludevano alla buona ed alla cattiva fama. La fanciulla si poggia su un globo in maniera incerta, un po’ come la fama che non è né stabile, né duratura.

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La Tartaruga fissa di fronte a lei le fauci della BALENA, un essere spaventoso con grandi denti aguzzi. La balena è la metafora del tempo, l’origine e la fine del mondo.

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Vi è poi il cavallo PEGASO, che con le sue ali vuole spiccare il volo. Pare che nel disegno originario ci fossero 10 Muse intorno a Pegaso ed agli angoli Giove, Bacco, Mercurio ed Apollo, ma non vi rimane più nulla.

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Vicino a Pegaso ha posto una COLONNA SPEZZATA, come fosse una rovina di un terremoto, in quanto si dice che Pegaso, battendo il suo zoccolo sul terreno, fosse capace di fermare i terremoti.

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Avviciniamoci al NINFEO, dove troviamo le 3 Grazie abbracciate in una nicchia, di cui rimane ben poco. Per il loro ideatore, Ligorio, sono l’immagine della purezza, ma sono anche le sue tre figlie.

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Vi è poi la FONTANA CON I 3 DELFINI, che attualmente vediamo svuotata, ma ai tempi del Principe Orsini il Parco godeva di abbondanza di acqua e l’acqua è un elemento esoterico molto potente, è la sorgente della vita.

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Al tempo del Principe vi era un lago artificiale, che alimentava le Fontane di Pegaso, delle Ninfe, di Venere e di Plutone

Abbiamo pertanto la FONTE DI VENERE, la dea della Bellezza, molto raffigurata nel 1500, in quanto in lei vi è l’armonia del mondo. Per Ligorio era la Venere Virile, custode della Patria e della Virtù.

Originariamente, l’acqua zampillava dall’ombelico della statua di Venere e ricadeva nelle vasche sottostanti.

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Il mascherone che troviamo in basso è GIOVE AMMONE, che inizialmente era collocato alla sinistra di Venere e che poi è crollato, Ammone era la più importante divinità per gli antichi Egizi.

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Immancabile è la presenza di un TEATRO, di forma ellittica con due rampe di scale laterali. Il teatro in origine aveva una funzione religiosa, ci si avvicinava alla divinità attraverso le rappresentazioni teatrali.

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A far da sfondo al teatro vi sono 7 celle, che al tempo erano ricoperte di specchi, considerate un simbolo di vanità e quindi probabilmente si riferisce a ciò la scritta “per simil vanità mi son acc….parmi corto”, che in origine doveva essere “per simil vanità mi son accorto che il tempo fugge e il viver parmi corto”.

Di fronte al Teatro abbiamo le ERME, ovvero stele con sopra teste scolpite, che servivano da protezione per i viandanti.

Vi sono le teste a 4 facce, che possono sia alludere a Giano, che non era solo bifronte, ma per gli Etruschi aveva 4 facce, che alle 4 stagioni della vita, poiché i volti scolpiti vanno da quello di un uomo giovane sino a quello di un anziano.

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Proseguiamo verso la costruzione più bizzarra, la CASA PENDENTE. L’intento del Principe era quello di sorprendere e vi riuscì perfettamente.

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Costruita su un masso, la pendenza allude alla cattiva inclinazione dell’uomo a causa del peccato originale.

Entrando in casa si avverte un senso di vertigini.

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Appena passata la casa, vi è una doppia fila di VASI, che potrebbero essere urne cinerarie, a delimitare un luogo sacro tra il terreno e l’ultraterreno. Quelle di fronte a Nettuno portano la scritta “Notte et giorno, noi siam vigili et pronte a guardar d’ogni ingiuria questa fonte” e sono poste accanto al DRAGO, la bestia da cui difendersi.

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In realtà, il DRAGO non è la bestia feroce dei racconti, è il tempo, attaccato dal cane, dal leone e dal lupo, che rappresentano la primavera, l’estate e l’inverno.

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Il Drago nell’antichità romana è legato alle insegne che le coorti romane portavano con sé.

Ammiriamo la NINFA DORMIENTE, questa figura femminile in posa languida per l’autore era Arianna, che in origine era la dea degli Inferi e della Vegetazione.

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Tornando un po’ indietro, troviamo CERERE, ovvero “Madre Natura”, la dea della Terra.

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E’ attribuita a Cerere, divinità di origini siciliane, figlia di Saturno e di Rea, madre di Proserpina, la diffusione della coltivazione del grano, basti pensare che la parola cereale attribuita al grano deriva proprio dalla dea Cerere.

Viene rappresentata incoronata da un paniere, che ha le agavi e non le spighe, e sul dorso vi sono dei fanciulli che giocano.

Ed ecco l’ELEFANTE, sormontato da una torretta e che porta nella sua proboscide un legionario catturato, si pensa fosse Annibale, il grande nemico dei Romani.

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Per Ligorio è l’animale più saggio, capace di distinguere tra bene e male, ma è anche lì a rappresentare vittorie e sconfitte del guerriero Principe Orsini.

Dopo l’Elefante abbiamo la figura simbolo del Parco, l’ORCO, questa figura di uomo impaurito e pietrificato.

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Orcus era uno dei nomi di Ade, il re degli Inferi, e la sua bocca è l’entrata dell’Inferno dantesco. Campeggia l’iscrizione “Ogni pensiero vola”, ma da un disegno del 1598 la scritta originaria era proprio “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”.

Giungiamo al PIAZZALE DELLE PIGNE, dove troviamo una lunga fila di capitelli con pigne e ghiande, fino a giungere due orsi, che rappresentano lo stemma degli Orsini.

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Di fronte troviamo PROSERPINA, figlia di Cerere, che viene rapita da Plutone, che ne fa la sua sposa ed è così che diviene la Regina degli Inferi. Proserpina viene liberata da Zeus, ma le viene concesso di stare sulla terra solo sei mesi l’anno.

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Viene rappresentata con le braccia aperte ed il suo vestito è una panca.

ECHIDNA è una sirena, con il volto e busto di donna e le gambe come due code di serpente.

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Di fronte a lei c’è ARPIA, dal corpo di donna ed ali di pipistrello, artigli di uccello e pinna di delfino. Era la personificazione del vento nella mitologia greca.

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Saliamo al TEMPIO, che in base a degli studi era l’inizio del percorso di visita del Parco, che si ispirava al romanzo “Hypnerotomachia Poliphili”, attribuita a Francesco Colonna, il viaggio di Polifilo alla ricerca di Polia, la sua amata.

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Il Tempio lo dedicò all’amata consorte Giulia Farnese e lo volle con cupola e lanternino come Santa Maria del Fiore.

Alla sinistra del Tempio, una scalinata porta alla ROTONDA, che rimanda agli antichi templi romani circolari, dedicati alla dea Vesta, la dea del Fuoco,

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Termina qui il giro nel bosco più incredibile che tu possa mai vedere, dove, come nell’intento del suo autore, i tuoi occhi si riempiranno di stupore e meraviglia e tornerai per poche ore bambino.

Maria Pia Maghernino

Dopo il Parco puoi sempre visitare Narni e le sue piscine naturali, qui ti racconto cosa fare
Narni e le sue piscine naturali
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