Anime vaganti e pietre parlanti nelle notti di Roma

Anime vaganti e pietre parlanti nelle notti di Roma

Si dice che a Roma parlino anche le pietre e che la sera tu debba guardarti attorno, perché potresti scorgere nel cielo un carro in fiamme trainato da cavalli ed inseguito da demoni oppure vedere camminare una giovane donna con la sua testa in mano.

Inquietante? Probabilmente sì!

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Sta attento, perché se c’è una Bocca della Verità che taglia la mano all’incauto menzognero, c’è anche una statua che parla e dice tutto, temuta tanto dai Papi quanto dal popolo.

Ricorda che in una città straordinaria ed unica come Roma tutto è possibile!

Anime vaganti e pietre parlanti nel cuore di Roma

Allora, miei intrepidi cacciatori di fantasmi di tutto il mondo, novelli ghostbusters di Roma, partiamo da un luogo che di anime vaganti ne ha viste e ne vede a bizzeffe: il Mausoleo di Adriano, meglio conosciuto come Castel Sant’Angelo.

CASTEL SANT’ANGELO

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Il Mausoleo di Adriano è il monumento funebre voluto ed inaugurato nel 138 d.C. dall’Imperatore Adriano, che volle ispirarsi al Mausoleo del grande Augusto, ma con dimensioni veramente imponenti.

Con il tempo il Mausoleo divenne una roccaforte a difesa di Roma. Si narra che, durante le guerre bizantine, i soldati di Belisario, assaliti dai Goti, si trincerarono nell’edificio e per difendersi fecero a pezzi le statue che decoravano il coronamento del Mausoleo per lanciarle contro gli assalitori.

I Goti erano accampati proprio nell’attuale Borgo, che deriva dalla parola germanica Burg, insediamento. Quando i Goti se ne andarono, rimase il muro perimetrale dell’accampamento.

Sul finire del 1200, Papa Niccolò III, il primo Papa ad abitare in Vaticano e noto per essere stato collocato da Dante nell’VIII girone dell’Inferno, utilizzò il muro per farci correre il Passetto, un passaggio lungo 800 metri sopraelevato per collegare i palazzi apostolici del Vaticano con Castel Sant’Angelo.

Castel Sant’Angelo venne chiamato così nel Medioevo, in onore di San Michele Arcangelo, in quanto secondo la leggenda, l’Arcangelo fu visto atterrare sulla cima del Monumento con una spada infuocata.

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Ad una romantica per natura come me Castel Sant’Angelo rievoca “Tosca”, lo splendido melodramma musicato da Giacomo Puccini e che qui ambienta l’ultimo atto.

Il pittore Mario Cavaradossi, condannato a morte e rinchiuso a Castel Sant’Angelo, ricorda disperato i suoi incontri con Tosca ed è così che “Oh dolci baci, oh languide carezze…” sino al fatidico “…L’ora è fuggita e muoio disperato, e muoio disperato! E non ho amato mai tanto la vita, tanto la vita!”.

Il Castello, infatti, divenne una prigione con condannati a morte e si narra ancora oggi che le sue anime continuino a vagare per la zona.

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Chi potresti incontrare nella notte di Castel Sant’Angelo?

Partiamo sicuramente dal fantasma più noto, la bella BEATRICE CENCI, decapitata con un processo farsa per parricidio.

La sua storia è stata narrata da personaggi come Shelley e Stendhal, che rimasero colpiti dalla triste vicenda dell’adolescente Beatrice, che continuava ad essere narrata nei secoli. Il ritratto della giovane è stato immortalato in un celebre dipinto di Guido Reni, che è possibile ammirare alla Galleria Nazionale Barberini Corsini.

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Il padre di Beatrice, Francesco Cenci, era uomo violento, che in precedenza aveva già aveva subito un processo per sodomia, da cui era stato assolto, pagando lautamente.

Beatrice lo accusò di violenza sessuale ed i suoi racconti ai giudici durante il processo sono a dir poco raccapriccianti. Ogni qual volta provava a rifiutarsi di avere rapporti sessuali con il padre, veniva colpita pesantemente da quest’essere violento.

Il padre soleva dirle che “quando un padre conosce carnalmente la propria figlia, i bambini che nascono sono dei santi e che tutti i santi più grandi sono nati così”.

Non c’è da meravigliarsi se Beatrice, insieme ai fratelli, alla matrigna e con l’ausilio di due vassalli si siano fatti giustizia.

Il padre, violento e deviato, fu prima addormentato con l’oppio e poi ucciso, conficcandogli un chiodo in un occhio, uno in testa ed un altro in gola e gettandolo dalla finestra del palazzo di Petrella Salto.

Non esiste il delitto perfetto e c’è sempre un particolare che sfugge, nel caso di Beatrice, la bella sedicenne mandò a lavare le lenzuola sporche di sangue ed è così che nacquero i sospetti ed il passo per il patibolo fu decisamente breve.

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Il popolo era a favore dei condannati, ma il Papa Clemente VIII li fece comunque condannare, in quanto mirava ad acquisire i beni della famiglia Cenci.

Dopo l’esecuzione, Beatrice venne ricomposta e sepolta in San Pietro in Montorio sul Gianicolo, ma la sua tomba non ebbe pace.

Nel 1797 i soldati napoleonici aprirono le tombe nelle chiese per prelevare le casse di piombo e farne proiettili. Dei soldati ubriachi, entrati nella Chiesa di San Pietro in Montorio, si misero a sfasciare le tombe ed a giocare con il teschio di Beatrice.

La notte dell’11 settembre di ogni anno, il fantasma di Beatrice appare sul ponte, passeggiando con la testa sotto il braccio, invocando il nome del fratello più piccolo, Bernardo, che fu l’unico ad essere graziato.

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Un altro spettro che si aggira qui è Giovanni Battista Bugatti, il più famoso boia della storia papalina, conosciuto come MASTRO TITTA, che per molti avrà sempre il volto di Aldo Fabrizi in Rugantino.

Aveva l’abitudine di annotare con dovizia di particolari tutti coloro che giustiziò ed in 65 anni di infelice carriera fece 516 condanne a morte.

Le condanne avvenivano all’alba e Mastro Titta soleva offrire del tabacco al condannato a morte prima di giustiziarlo.

Vieni qui alle prime luci dell’alba e se sarai fortunato, incrocerai un uomo dal mantello rosso che ti offrirà del tabacco.  E’ Mastro Titta che passa ponte! Il boia viveva sulla riva destra e se passava ponte, significava che c’era un’esecuzione e che andava a compire il suo lavoro.

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Un altro celebre fantasma fu il CARDINALE GIOVANNI BATTISTA ORSINI, acerrimo nemico dei Borgia. Dapprima il Cardinale aveva parteggiato per Papa Alessandro VI, ma poi prese parte ad una cospirazione contro il Papa, che lo fece rinchiudere a Castel Sant’Angelo.

La madre e l’amante del cardinale arrestato si presentarono dinanzi al Papa per chiedere la sua restituzione, offrendo in cambio una rara perla nera. Il Papa la accettò ben volentieri, ma le due donne avevano sottinteso il fatto che il prigioniero lo volevano indietro vivo e il Papa, invece, lo restituì morto.

Attraversiamo lo splendido PONTE SANT’ANGELO, che esisteva già al tempo dei romani, con il nome di Pons Aelius.

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Ammiriamo la splendida balaustra con le 10 statue di 10 angeli, che portano i simboli della passione di Cristo. Sono opere della scuola berniniana, tranne l’Angelo con la corona di spine e l’Angelo con il cartiglio, che furono disegni originali del Bernini, ma che non furono mai collocati qui. Al loro posto vennero messe delle copie, fatte dai suoi allievi.

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Alla morte del Bernini, le opere originali, rimaste nel suo studio a Via della Mercede, furono donate dalla sua famiglia alla chiesa parrocchiale del Bernini, Santa Maria delle Fratte.

Al lato opposto di Castel Sant’Angelo avvenne la decapitazione di Beatrice Cenci, del fratello Giacomo e della matrigna Lucrezia.

VIA DEL BANCO DI SANTO SPIRITO

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Incamminiamoci su Via del Banco di Santo Spirito, dove possiamo vedere l’Arco dei Banchi, ovvero un piccolo arco di passaggio con una volta blu stellata ed una Madonnina. Da notare che qui c’è la più antica lapide di segnalazione delle piene del Tevere, datata 1277.

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Nella parte opposta, c’è la Chiesa di Santi Celso e Giuliano, dove avveniva la pubblicazione delle leggi tramite l’araldo pubblico, che dal sagrato della Chiesa le divulgava strillando.

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VIA DEI BANCHI NUOVI

Passiamo per via dei Banchi Nuovi, dove al numero 4 troviamo una targa, che ci attesta che lì abitava il famoso architetto del barocco romano, CARLO MADERNO, l’autore della facciata di San Pietro.

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Papa Paolo V Borghese trasferì le attività finanziarie dei banchieri fiorentini proprio in questa zona, infatti ai fiorentini venne dedicata anche una Chiesa, San Giovanni dei Fiorentini.

La presenza dei banchieri ed il grande circolo di denaro rese quest’area ricercata e frequentata dalla Roma altolocata e da molti artisti, come il già citato Maderno e Benvenuto Cellini a Largo Tassoni.

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Nella Roma abbiente circolavano le cortigiane e le prostitute, tanto da contarne 4.900 su una popolazione di 55.000 abitanti.

Le prostitute meritano una menzione: il loro mondo era variegato, poiché ne esistevano di diverse tipologie e vivevano in zone in cui era lecito questo esercizio.

C’erano le prostitute “alla candela”, che facevano la loro prestazione in base al consumarsi della candela ed i loro nomi erano nei registri delle parrocchie.

Vi erano le prostitute “per gelosia”, dove le gelosie erano le imposte da cui chiamavano gli avventori.

Si avevano poi le “cortigiane della domenica”, che esercitavano il mestiere proprio nel giorno del Signore.

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Poi, come in tutte le raffinate corti rinascimentali, c’erano le cortigiane, ovvero le prostitute “oneste”, che erano donne ricchissime e famose, di grande cultura, donne di un fascino ed un’intelligenza tale da potersi scegliere loro stesse gli uomini, da partecipare ai salotti letterari e di potere. Erano abili manipolatrici e tessitrici di importanti relazioni sociali.

PIAZZA DELL’OROLOGIO

Arriviamo a Piazza dell’Orologio, chiamata così per la presenza dell’Orologio sulla torre progettata da Francesco Borromini nel 1648, sotto il quale possiamo ammirare il mosaico di Pietro da Cortona, raffigurante la Madonna della Vallicella della Chiesa di Santa Maria della Vallicella, ovvero la Chiesa Nuova.

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Guardiamo Palazzo Bennicelli, l’ex Palazzo Spada, voluto da Virginio Spada, che incaricò del progetto il Borromini. Fu venduto dagli Spada ai Bennicelli, che lo fecero ristrutturare dall’architetto Gaetano koch nell’800. Oggi è sede dell’ambasciata del Belize.

Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, a Palazzo Spada viveva l’eccentrico personaggio CONTE TACCHIA, al secolo Adriano Bennicelli. Era un commerciante di legnami, che si fregiava del titolo di conte.

C’erano pure le filastrocche su di lui “Adriano Bennicelli il Conte Tacchia, era per i romani una gran pacchia, che li divertiva con prodezze che ogni tanto infiorava de sconcezze…”

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Amava bere, era irascibile, fu uno dei primi a comprare l’auto ed a guidarla senza patente, facendo danni. Era autoironico tanto che si racconta che un giorno portò un cardinale nella sua falegnameria e gli disse “io so conte de burla ma questi so poveracci per davvero”.

Prima di essere degli Spada, questo Palazzo sarebbe dovuto essere la sede del Banco di Santo Spirito e proprio per la presenza del Banco di Santo Spirito, abbiamo la già citata strada “via dei Banchi Nuovi”.

VIA DEL GOVERNO VECCHIO

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Proseguiamo per Via del Governo Vecchio, che insieme a Via dei Banchi nuovi, faceva parte dell’antica Via Papalis, una strada che, percorrendo il Campo Marzio, giungeva al Vaticano. La Via Papalis venne sostituita da Via Giulia, aperta nel 1506 da Papa Giulio II.

Su questa via nel Medioevo avveniva la cavalcata di possesso, ossia il Papa una volta eletto attraversava la città a cavallo per presentarsi al popolo.

Si chiama Via del Governo Vecchio poiché c’era la sede dell’antico TRIBUNALE PONTIFICIO prima che venisse spostato.

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Se avessi intenzione di affittare una casa da queste parti, il numero 57 può rendere il soggiorno piuttosto movimentato e ti dirò perché!

Al numero 57 di Via del Governo Vecchio nel maggio 1861 sono avvenute strane apparizioni, documentati da quotidiani dell’epoca. Si narrava che avvenissero fenomeni paranormali, si udirono forti rumori e  si videro piatti che volavano e materassi che levitavano.

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La famiglia che vi abitava si rivolse ad un prete e poi alla polizia, che fecero delle indagini, ma non si giunse a nulla, fino a che decisero di lasciare l’abitazione ed i fenomeni paranormali cessarono. Quando si dice che un posto ti respinge!

Al numero 104 alza lo sguardo per osservare la facciata del palazzo quattrocentesco dei Bartolomei. Erano avvocati ricchissimi e sulla facciata vollero che fossero scolpiti famosi giuristi dell’epoca, incluso lo stesso capostipite della famiglia, rappresentato in alto in un affresco, mentre si affaccia alla finta balaustra con il maggiordomo vicino.

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PIAZZA PASQUINO

Dirigiamoci verso Piazza Pasquino, dove si trova la celebre statua omonima, che da secoli dà voce al dissenso popolare attraverso le sue “Pasquinate”.

Pasquino è una statua antica, appartenente al gruppo scultoreo rappresentante “il compianto di Menelao per la morte di Patroclo”, facente parte della decorazione dello Stadio di Domiziano.

Sul nome Pasquino le teorie più accreditate sono che la statua sia stata trovata qui sotto la casa di un sarto, chiamato Pasquino, o che ci fosse un oste dal nome di Mastro Pasquino.

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La più celebre pasquinata si ebbe contro il Papa Urbano VIII Barberini, quando apparve la scritta “quod non fecerunt Barbari, fecerunt Barberini”, ovvero “ciò che non fecero i Barbari, lo fecero i Barberini”, riferendosi al prelievo del bronzo dal Pantheon per costruire il baldacchino di San Pietro.

Un’altra celebre pasquinata è apparsa nel maggio del 1938 in occasione della visita di Hitler in Italia e recitava “Povera Roma mia de travertino, t’hanno vestita tutta de cartone pè fatte rimirà da n’imbianchino”.

Da Piazza Pasquino il passo è breve per raggiungere Piazza Navona, il cui fantasma più famoso fu una donna potentissima.

PIAZZA NAVONA

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Piazza Navona era l’antico Stadio di Domiziano, che conteneva 30.000 persone, la cui pista è situata 5 metri sotto l’attuale superficie. Domiziano lo costruì a partire dall’86 d.C. per accogliere gli agones, i giochi di stampo olimpico, consacrati a Giove Optimo Maximo Capitolino.

L’attuale Piazza Navona per forme e dimensione ricalca l’antico Stadio di Domiziano.

La piazza è frutto del rifacimento barocco su iniziativa di Innocenzo X Pamphili e dell’interessamento diretto di Olimpia Maidalchini Pamphilj.

DONNA OLIMPIA, conosciuta come la PIMPACCIA, è la regina della piazza anche sotto forma di fantasma.

Da ragazzina era stata destinata dal padre a farsi suora, ma lei non ne volle sapere e si inventò la storia che il suo padre spirituale l’aveva violentata, cosa non vera. Riuscì così a scappare dal convento, a sposarsi con un marito anziano, che morì presto lasciandola ricchissima.

Era una donna ambiziosa, assetata di potere, avida e manipolatrice ed osservando il ritratto che Diego Velasquez le fece, neanche di gran bellezza.

In seconde nozze sposò il fratello del Papa Innocenzo X, Pamphilio Pamphilj, più grandi di lei di 28 anni. Potremmo dire che fu un matrimonio perfetto, lui blasonato e povero, lei ricchissima e senza titoli.

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Ottenne dal Papa il titolo nobiliare di principessa e, in un’epoca in cui le nobildonne romane si davano alla carità, in lei non albergava alcun spirito caritatevole cristiano, odiava il popolo, tanto da chiedere al Papa che il mercato di Piazza Navona fosse trasferito a Campo dei Fiori.

La sua ascesa va di pari passo con quella del cognato Giovanni Battista Pamphilj, che aiutò nella scalata al soglio pontificio. Non si muoveva foglia che non volesse Donna Olimpia, era chiamata le Papessa.

La Pimpaccia, il soprannome con cui verrà ricordata per l’eternità, fu dato da Pasquino, la statua parlante, che la chiamò con una deformazione del nome Pimpa, che era una commedia molto in voga nel ‘600.

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Oltre al Papa, le attribuirono molti amanti, uno dei quali era il maestro di camera Fiume. Apparve così una delle ennesime pasquinate su di lei. Traendo spunto dall’usanza dell’epoca di indicare la piena del fiume con una lapide e l’indice della mano ad indicare il livello, apparve sotto la statua di Pasquino il disegno di una donna nuda, dalle fattezze inequivocabili di Donna Olimpia, con il dito indice a puntare le parti intime della Pimpaccia e la scritta “Fin qui arrivò Fiume”.

Ad Olimpia si deve l’abbellimento di Roma, fu lei che fece assegnare a Bernini il progetto della Fontana dei Fiumi, mentre sappiamo che il Papa prediligeva Borromini ed aveva inizialmente assegnato a lui il progetto. Donna Olimpia convinse il cognato/amante ad assumere il Bernini. Lei stessa era stata convinta dal Bernini, che le aveva regalato un modello del progetto in argento massiccio.

La Fontana fu dedicata a 4 Fiumi e fu costruita dal 1647 al 1651, in essa si evince il dominio della Chiesa, rappresentato dallo stemma dei Pamphili con una colomba con il ramoscello d’olivo, abbiamo i 4 fiumi personificati che si adagiano sopra le 4 scogliere in travertino a rappresentazione dei 4 rispettivi continenti.

Iniziamo dal Nilo, i cui attributi sono il capo velato, la palma ed il leone, quindi l’Africa. Il leone rappresenta le piene del Nilo, che esondava quando il sole entrava nella costellazione del leone.

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Poi abbiamo il Gange, l’Asia, simboleggiato dal remo e dal dragone con il collo intorno al remo.

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L’Europa con il Danubio, che ha come attributi uno storione ed il cavallo di razza ungherese, che era allevato lungo le rive del Danubio.

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Le Americhe rappresentate dal Rio della Plata con attributi il fico d’India, la plata, quindi le monete ed il caimano.

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La leggenda della mano della statua del Rio della Plata alzata in direzione della Chiesa di Sant’Agnese in Agone temendo che cada, dall’altro lato c’è la statua di Sant’Agnese con la mano sul petto a garantire la stabilità della Chiesa. Ciò derivava dalla competizione tra il Bernini ed il Borromini, i grandi artisti del Barocco contrapposti tra loro, artefici della Fontana e della Chiesa.

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La fortuna di Donna Olimpia terminò con la morte del Papa Innocenzo X, il cui successore pensò bene di esiliarla perpetuamente da Roma, così Olimpia scappò dalla città portandosi dietro tutto l’oro per la sepoltura del Papa, tanto che si dovette fare una colletta per dare la sepoltura al Papa.

Il suo palazzo si affacciava su Piazza Navona ed attualmente è la sede dell’Ambasciata Brasiliana.

Si narra che il 7 gennaio, all’anniversario della morte di Innocenzo X e della sua fuga da Roma, si veda in cielo, nelle notti di plenilunio, una carrozza in fiamme, piena d’oro, inseguita dai demoni e guidata da Donna Olimpia, trainata da cavalli senza testa che proseguono verso Ponte Sisto e lì si inabissano.

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Sempre a Piazza Navona appare il fantasma di tal FORCONE, uno sfortunato oste che risale al 1586 ed aveva un’osteria proprio a Piazza Navona al numero 34.

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Guarda in alto per scorgere il suo volo incastonato nella parete.

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Potere dell’assenza del web, anche il Papa poteva permettersi di girare indisturbato per la città, senza essere riconosciuto. Papa Sisto V aveva l’abitudine di travestirsi da popolano ed andare ad ascoltare i commenti su di lui per le strade, nelle piazze, nelle osterie.

Un giorno il Papa si travestì ed andò a mangiare da Forcone. Fece due chiacchiere con l’oste, chiedendogli cosa pensasse del Papa, e l’oste ingenuo diede sfogo a tutti i suoi pensieri più oscuri contro il Papa e le sue ingiustizie.

Il mattino seguente, quando Forcone torna nella sua osteria, trova che gli hanno installato davanti una forca. Ovviamente, il povero oste non immaginava per chi fosse il patibolo, ma cominciò a mettere fuori tavoli e sedie, pensando di avere tanti ospiti quel giorno ad assistere all’esecuzione.

Non passa molto che scopre amaramente che i gendarmi sarebbero andati a prendere proprio lui e che avrebbe fatto molto meglio ad imparare a tacere.

Quando la sua testa rotolò, gli altri osti della piazza fecero una colletta per fare erigere questa piccola testa a ricordo di Forcone.

Altro fantasma famoso di Piazza Navona è quello di COSTANZA DE CUPIS, una nobildonna romana con mani bellissime, tanto che gli artisti facevano a gara per ritrarle.

Un giorno un’artista si presentò a casa sua per fare un calco di gesso della sua mano e Costanza acconsentì. Dal calco ne fece una scultura molto ammirata in città.

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La vide un prete e disse che la mano era così bella che veniva voglia di tagliarla, ma questa frase arrivò alla giovane Costanza, che cominciò a temere per la propria vita e per le sue mani, tanto da non uscire più.

Si rinchiuse in casa ed imparò a cucire, ma con un ago si punse e la ferita si infettò e dovettero amputarle la mano, cosa che la fece morire di crepacuore.

Si dice che nelle notti di luna piena si vede la mano di Costanza riflessa sul palazzo.

Le altre due Fontane di Piazza Navona sono la Fontana del Nettuno e la Fontana dell’Etiope, quest’ultima sono della scuola di Bernini.

Piazza Navona si chiama così dall’epiteto della Chiesa di Sant’Agnese “in agone”, nel medioevo in agone era pronunciato in navone e poi si arriva a Navona.

Avviamoci verso il Pantheon.

PIAZZA DEL PANTHEON

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Il PANTHEON è il Tempio dedicato a tutti gli Dei, la cui prima costruzione fu voluta nel 27 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa, il genero di Augusto. Venne ricostruito tra il 120 d.C. ed il 124 d.C. dall’Imperatore Adriano dopo che due incendi lo distrussero.

E’ un edificio alto 43 metri e 60 cm con un’altezza pari alla larghezza formando così una sfera perfetta, ha un pronao con 8 colonne di granito in ordine corinzio.

Nell’antichità, l’osservatore non vedeva la cupola tonda, per cui entrando si aveva un effetto sorpresa, vedendo che la pianta era circolare, illuminata dal getto di luce proveniente dal grande oculum, che si apre al centro della cupola, che è a gettata unica di opus coementicium, che la rende la più grande cupola in conglomerato mai costruita nel mondo ed è di un metro più piccola del diametro della cupola di San Pietro.

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Sull’architrave del Pronao vi è l’iscrizione, che ricorda il primo costruttore Marco Vipsanio Agrippa che fece l’edificio nell’anno del suo terzo consolato, che corrisponde al 27 d.C.. Curiosità: Agrippa vuole dire nato per i piedi, lui apparteneva alla gens dei Vipsani.

Il Pantheon deve la sua conservazione alla trasformazione nella CHIESA DI SANTA MARIA AD MARTYRES, si dice che Papa Bonifacio VIII per allontanare le presenze maligne del paganesimo avesse rovesciato nel Pantheon 28 carri pieni di ossa di martiri e santi provenienti dalle catacombe.

La chiesa fu consacrata nel maggio del 1609 e la leggenda vuole che sulle note del Gloria in Excelsis questa schiera di demoni pagani fecero un vortice ed uscirono dal foro.

All’interno vi sono sepolti artisti, come Raffaello, i Carracci, Peruzzi e le Tombe dei Savoia, vigilate dalla guardia reale del Pantheon.

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Non sono presenti i membri dei Savoia in esilio ed ovviamente non c’è neanche la bella Rosina, con cui Vittorio Emanuele II aveva fatto un matrimonio morganatico, poiché Rosina era di rango inferiore, senza alcun titolo, ed era esclusa da ogni titolo ereditario.

Vittorio Emanuele II, alla morte di Maria Adelaide d’Austria, si innamorò della bella Rosina, che sposò in maniera morganatica, parola dal tedesco che vuol dire “il dono del mattino”, in quanto nella cultura longobarda lo sposo, dopo aver verificato la notte l’illibatezza della moglie, il giorno dopo doveva fare il dono del mattino, che era un quarto delle proprie sostanze, che servivano per garanzia in caso di morte.

Il Pantheon pullula di fantasmi, il più recente ed anche attestato è quello di Umberto I, che apparve negli anni 30 ad un carabiniere che vegliava sulla tomba.

Il carabiniere sostenne che il Re gli avesse rivelato dei segreti sull’imminente scoppio della II Guerra Mondiale e che prima di andarsene gli avesse toccato il cappotto, lasciando un’impronta di mano bruciata come prova del suo passaggio.

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L’altro fantasma famoso del Pantheon è quello di Margherita Luti, la fidanzata di Raffaello, detta la Fornarina.

Raffaello si era innamorato di Margherita dopo averla vista fare il bagno nel Tevere.

La si vede ogni anno all’anniversario della morte di Raffaello, portare un mazzo di fiori sulla sua tomba e si vede il suo fantasma aleggiare su Via della Lungaretta, invocando Raffaello, poiché lei alla morte dell’amato, si ritirò in convento vicino Santa Maria in Trastevere a Piazza Sant’Apollonia.

Con la Fornarina, la più bella cortigiana di Roma, termino il racconto della Roma dalle anime vaganti e dalle pietre parlanti e ricorda che la notte a Roma è sempre magica come la sua città.

Ci vediamo al prossimo racconto.

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